Lo chiamavano Jeeg Robot: il cinecomic made in torbella

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Dopo il grande successo ottenuto alla Festa del Cinema di Roma, arriva anche al Lucca Comics & Games 2015 il primo lungometraggio di Gabriele Mainetti, Lo chiamavano Jeeg Robot, cinecomics all’italiana scritto da Menotti e Nicola Guaglianone, con Claudio Santamaria, Luca Marinelli e Ilenia Pastorelli.

Supereroi in Italia? Si… può… fare!

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Fate largo ai supereroi de Torbella

Ma di cosa parla Lo chiamavano Jeeg Robot? Come tutte le storie di supereroi, il tutto parte da un uomo semplice con una vita semplice. In questo caso non proprio uno stinco di santo, ma bensì un delinquente di bassa lega con troppi problemi di autocontrollo. Un misantropo e sociopatico senza un vero posto nel mondo, richiuso in un bilocale sudicio a mangiare dalla mattina alla sera budino di fronte ai porno.
La prima scena inizia subito in action, trasportando lo spettatore nel vivo della storia. Enzo (Claudio Santamaria) scappa all’impazzata da due uomini, probabilmente gente a cui deve dei soldi. Per potersi nascondere finisce per buttarsi nel Tevere. Il coraggio, di certo, a Enzo non manca. Ma invece che uscire fuori dall’acqua con tre occhi e quattro braccia, Enzo sembra essere ancora più acciaccato di prima, ricoperto da una melmosa sostanza nera. Solo il giorno dopo si renderà conto che qualcosa in lui è cambiato.

 

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Da un grande potere derivano grandi responsabilità.

Enzo non capirà subito l’importanza di quel dono, e più che agire a fin di bene per gli altri, agirà a fin di bene per se stesso creando solo più scompiglio e attirando, troppo, l’attenzione su di sé.

Ad aprirgli occhi, e anche il finto cuore di pietra, sarà proprio una donna… Una donna con la stessa eleganza di un camionista ma con l’ingenuità di una bambina di sei anni, Alessia (Ilenia Pastorelli), figlia di un zoticone con le mani sporche di droga e sangue. Alessia si protegge dal mondo marcio in cui è stata rigurgitata, vivendo in una realtà alternativa, dove Jeeg Robot salverà tutti quanti prima che le tenebre dell’Imperatore inglobino il mondo.

Nei vaneggiamenti di Alessia qualcosa di vero, infondo, c’è. Nell’universo fumettistico di Mainetti, Roma è sotto attaccato un gruppo di mafiosi napoletani, i quali sembrano aver stretto alleanza con un piccolo gruppo grottesco della mala romana, guidato dal pittoresco e molto appariscente Zingaro (Luca Marinelli), figlio di un piccolo boss che vuole a tutti costi essere ricordato dalla gente, nel negativo o nel positivo non gli importati. Un vero e proprio talent man “de noi altri”, dal grilletto facile. Viziato e troppo stupido per riuscire davvero nel suo intento.

 

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Chi altri può salvare Roma dalla follia alla scalata del potere dello Zingaro, se non Hiroshi Shiba, ovvero Enzo?

 

Gabriele Mainetti riesce davvero lì dove nessuno è mai riuscito, senza aver la pretesa di mettersi davvero alla pari con il modello americano. Andando oltre la pretesa de Il ragazzo Invisibile di Gabriele Salvatores di entrare nel genere fumettistico all’americana, ma risultando alla fine un film d’autore come tanti che di cinecomics ha ben poco, Mainetti mantiene la coerenza del progetto, ovvero fare un film di supereroi, ma senza creare un universo ex novo da spiegare e rendere credibile allo spettatore, bensì usando proprio quelle verità tangibili che fanno parte dell’Italia attuale e di personaggi riconoscibili anche per la strada.

Usando i pochi e semplici strumenti utilizzabili in Italia, riesce a dar vita a un’opera originale e finalmente diversa, canzonando non solo il genere americano ma anche quel filone malavitoso che in Italia ha preso largo tra grande schermo e serie televisiva. Il rischio era davvero molto alto, così come le percentuali del cadere in una vera e propria poltiglia di roba scopiazzata e attaccata alla ben meglio, ma il coraggio e la sorprendente maturità del regista, così come degli sceneggiatori, sorpassano l’ostacolo a mani basse. Il gusto un po’ grottesco e volutamente trash, dalle piccole chicche “citazionistiche” alle situazioni più rocambolesche e paradossali contornate sempre da battute di uso comune ma rese ancora più divertenti,  arricchisce ancora di più la pellicola, dandole uno stile e un’anima tutta sua.

 

Da amante dei generi penso che quello supereroistico rappresenti la sfida più complessa e pericolosa. Fare un buon film per me, significa raccontare con originalità. E quando ti avventuri in un genere che non ti è proprio, il rischio di scadere in un’imitazione è dietro l’angolo.

 

Una struttura solida che regge il film lungo tutte le sue due ore, senza mai annoiare o rendere banale. Perfetta divisione in tre atti, più piccolo quarto conclusivo, da struttura americana. Continui rilanci e un buon uso della semina e della raccolta, sempre sfruttando gli elementi cardine del genere. Mainetti gioca lì dove può, attraverso riprese e inquadrature, ricreando atmosfere quasi alla The Dark Knight di Christopher Nolan, ma senza forzare troppo la mano. Tutto è perfettamente misurato ed equilibrato, dai dialoghi sopra le righe ai modelli di supereroi e supercattivi utilizzati.

L’uso sapiente delle tematiche fa capire quanto Gabriele Mainetti sia consapevole del suo lavoro, riuscendo a parlare di gravi problemi che affliggono per davvero Roma, dalla mala allo scarico illegale di sostanze tossiche, attraverso un registro leggero ma al tempo stesso riconoscibile.

Jeeg Robot, in tutto questo, è solo una metafora che arricchisce la storia senza confinarla ad una mera rappresentazione dell’anime con il rischio di inimicarsi gli appassionati.

Jeeg Robot, in tutto questo, è solo una metafora che arricchisce la storia senza confinarla ad una mera rappresentazione dell’anime con il rischio di inimicarsi gli appassionati. L’universo di Jeeg Robot è lo stesso universo, in chiave contemporanea, della Roma di Mainetti, bisognosa di essere salvata dalla follia umana. E in questo quadro si distingue soprattutto Luca Marinelli, in un’interpretazione degna del Joker di Heath Ledger. Un attore in continua crescita, che dall’ultimo Claudio Calligari a questo di Mainetti, dimostra di sapersi muovere magistralmente sotto la macchina da presa, utilizzando le sue origini da romano doc al meglio per la storia.

 

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Restando sul tema recitazione, se volessimo proprio trovare un pelo nell’uovo, probabilmente la performance di Claudio Santamaria non fa proprio scintille. Parte della “colpa” è indubbiamente collegata al tipo di personaggio da lui interpretato, per nulla semplice, eppure c’è un pezzo di anima vera e propria che manca all’interno dell’interpretazione dell’attore italiano.

 

La soddisfazione che questa pellicola riesce a dare è davvero unica nel suo genere.

 

Entrare in fissa con questo tipo di storie e le sue piccole trovate è impossibile. Fresco, originale ma soprattutto geniale, con quel pizzico di romanaccio de casa nostra, che non guasta mai, Lo chiamavano Jeeg Robot è indubbiamente il film dell’anno, il primo vero cinecomics all’italiana che non potrete non vedere.

 

Il film uscirà nelle sale italiane il 25 Febbraio 2016

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