Il testimone alato

crime scene

In una giornata qualsiasi, in una città come un’altra, un falchetto decise di posarsi in cima all’impalcatura di un condominio in costruzione. Il volatile era grosso quanto un corvo, le sue splendide piume marroni erano lucide e immobili al vento che soffiava lassù; il becco era leggermente ricurvo e appuntito, come quello di tutti i rapaci.

Nei suoi occhi si specchiava il cielo plumbeo di Ottobre; il sole pomeridiano era coperto da interminabili nuvoloni grigi. Ruotò la testolina e guardò verso il basso.

Non capì quel che vide, ovviamente. Un falchetto pensa solo alla prossima mossa, la quale in genere include uccidere e nutrirsi. Ma fu comunque testimone di quel che accadde nel cantiere.

Un omicidio.

Ludo aveva appena pugnalato un uomo a morte e aveva il respiro pesante, ma la testa incredibilmente leggera. I guanti di lattice che indossava erano rossi e scivolosi; non pensava che il sangue sarebbe stato così scuro o viscoso.

In fondo, era il suo primo omicidio.

Ma non era un dilettante, no. Aveva pensato a tutto… l’avrebbe fatta franca, ne era certo.

Respirò a fondo, per calmare il battito impazzito del suo cuore e alzò la testa, verso il cielo grigio, l’impalcatura e…
…il falchetto.

Stava osservando proprio lui, Ludo poteva percepirlo. Aveva assistito a tutto; nonostante tutte le precauzioni, non era riuscito a evitare quel piccolo testimone. Lo guardò ancora per qualche secondo, poi si rese conto che stava perdendo tempo ad osservare uno stupido pennuto. Scoppiò a ridere. Osservò di nuovo e sue mani insanguinate e rise ancora più sguaiatamente. Poi si ricompose.

Aveva del lavoro da sbrigare.

Prima di tutto il corpo. Di fronte a lui giaceva riverso a faccia in giù un uomo dalla corporatura pesante, con pochi capelli rimasti in testa; indossava un completo elegante, una giacca blu e dei pantaloni beige. Fece rotolare il corpo e rivelò un’enorme macchia rossa sulla camicia di cachemire, nei pressi del cuore: la ferita letale.
Ludo aveva appena ucciso suo zio. Pensava di averlo fatto per odio, per il fatto che il suo unico parente al mondo non lo amava più … ma mentiva anche a sé stesso.

L’aveva fatto per l’eredità: aveva tolto una vita per soldi.

Sì, proprio Ludo, quello che non avreste mai e poi mai sospettato, aveva appena ucciso un uomo. Il piccolo Ludo spaventato che veniva picchiato a scuola, il Ludo primo della classe, il Ludo che si innamorava sempre della ragazza sbagliata, il Ludo che sorrideva agli sconosciuti. Un ragazzo, anzi un uomo ormai, come tanti, che non aveva mai preteso troppo dalla vita, più che altro perché aveva sempre ottenuto tutto senza sforzi; un uomo buono, o almeno così pareva a tutti.

Quel Ludo era diventato un assassino per poter finalmente mettere le mani sulla sua eredità; lo zio era giovane, in salute… e, sfortunatamente, da qualche tempo era intenzionato a cambiare il suo testamento.
Il motivo? Semplice, odiava il nipote.

“Io, sangue del tuo sangue. Vecchio bastardo, stavi per voltare le spalle al tuo unico nipote come se niente fosse, non è vero?”.

L’adorato nipotino che aveva cresciuto in seguito alla morte dei suoi genitori, il bambino che amava prendere sulle larghe spalle e far saltellare. Tutti amano i bambini… ma non è facile continuare a farlo quando diventano adulti disprezzabili. E lo zio non lo amava più, conosceva Ludo meglio di chiunque altro e sapeva che tipo di persona era diventato; sapeva del suo vizio del gioco, della sua pigrizia, della sua celata malignità. E per questo, non era più disposto a lasciare il controllo del suo impero finanziario al suo unico erede; era un uomo di principi, lui! Avrebbe preferito distribuire le sue azioni ai soci della sua società, lasciare le case ai domestici, donare i soldi depositati nei conti in svizzera ai poveri.

Il nipote, d’altra parte, non era disposto ad accettare la decisione dello zio. L’omicidio, dopo un’attenta analisi della situazione, si rivelò essere l’unica soluzione.

Era il delitto perfetto.

 

Nessuna traccia di DNA:

Ludo indossava una tuta bianca, che gli copriva anche la nuca con un altrettanto candido cappuccio. I doppi guanti di lattice erano necessari per le impronte digitali, i sacchetti ai piedi per fare in modo di non lasciare segni riconoscibili nel fango del cantiere. Quando lo zio l’aveva visto così conciato, qualche minuto prima, era rimasto basito; Ludo ci contava. In fondo, lo zio pesava quasi trenta chili più di lui…aveva bisogno dell’effetto sorpresa per colpirlo al cuore e porre fine alla sua esistenza.

 

L’arma del delitto:

un coltellaccio da cucina. Reperibile ovunque, anonimo; l’aveva comprato ad un mercato mesi prima, insieme ad altri articoli per la casa e aveva pagato in contanti. Nessuno sarebbe riuscito a risalire a Ludo tramite arma, anche perché l’avrebbe presto rinchiusa in un baule e gettata sul fondo di un fiume, insieme ai vestiti insanguinati.

 

Il luogo:

il cantiere era deserto, la ditta appaltatrice del condominio era fallita un anno prima e nessuno controllava la zona. Ludo lo aveva osservato a lungo, ma lo aveva scovato per caso una mattina, quando era stato costretto a prendere una deviazione per arrivare in ufficio. Aveva interpretato la fortuita scoperta come un segno del destino.

 

Il corpo:

beh, lo avrebbe lasciato lì, ovviamente. Se lo zio fosse semplicemente scomparso nel nulla, il nipote non sarebbe mai riuscito ad accedere all’agognata eredità. Sarebbe stato facile disfarsi del cadavere, una buca profonda in un bosco, oppure qualche tanica di acido; un gioco da ragazzi! Ma Ludo doveva giocare d’astuzia; lasciare che analizzassero il corpo era rischioso, ma indispensabile per ricevere la sua eredità.

Gli inquirenti avrebbero creduto ad un delitto d’impeto; un cadavere lasciato nel mezzo di un cantiere non avrebbe fatto pensare ad un’azione premeditata. Magari avrebbero ipotizzato una regolazione di conti. Non avrebbero trovato DNA, segno che qualcuno si era dato da fare per ripulire le tracce; ma succedeva in una buona maggioranza di delitti, quindi c’era una buona probabilità che la polizia sarebbe proseguita con la prima ipotesi. E se anche avesse sospettato una premeditazione, senza arma del delitto non avrebbero avuto mezza traccia da seguire.

 

Il movente:

nessuno al mondo sospettava che i rapporti tra Ludo e lo zio fossero in qualche modo cambiati nel corso del tempo. Tutti credevano che fossero come padre e figlio e che si volessero bene di conseguenza. Lo zio non aveva figli e sua moglie era morta da anni: non aveva nessuno con cui confidarsi. La polizia avrebbe torchiato Ludo, certo: ma, in ultima analisi, non avrebbe avuto nessun motivo per ritenerlo colpevole.

 

L’alibi:

le persone spesso sottovalutano questo aspetto… preparano tutto nei minimi dettagli, e poi affermano semplicemente che si trovavano “ a casa” al momento del delitto, “da soli”, certamente. Ludo invece non era il primo idiota che passava per strada: il suo alibi sarebbe stato la grande fiera di paese. Ci sarebbero state bancherelle, giostre, una parata con i carri… tutto il repertorio, insomma. Chiunque sapeva che Ludo vi si recava ogni anno, e che spesso lo faceva da solo. Vi aveva trascorso un’ora prima dell’omicidio, e si era premurato di farsi vedere da amici e conoscenti; appena avesse terminato l’opera in cantiere vi sarebbe ritornato.

Ma non bastava, ovvio.

 

Aveva lasciato il cellulare nella sua macchina, parcheggiata vicino all’ingresso della fiera. Da lì a poco sarebbero partite tre telefonate automatiche verso il telefono dello zio; la cella nei pressi del luogo della festa avrebbe segnalato la sua posizione e confermato il suo alibi.

C’erano altri dettagli; come il fatto che aveva chiesto a voce allo zio di incontrarsi nel cantiere, non aveva mandato messaggi o email. Poi il dettaglio della sua macchina: sarebbe stata notata da molte persone e tutte avrebbero testimoniato che non si era mossa dall’ingresso della fiera per l’intero pomeriggio. Ludo, per arrivare al cantiere, si era procurato una vecchia macchina rubata; irrintracciabile, ovvio.

Indossò un paio di scarponi di due taglie più grandi e lasciò una serie di impronte del fango: il genere di tracce che lascia qualcuno che se la da’ a gambe. Più tardi si sarebbe disfatto anche delle scarpe.

Era fatta, non gli restava altro che gettare il coltello e i suoi vestiti nel fiume che si trovava a qualche chilometro dal cantiere.

Alzò ancora una volta la testa al cielo: il falchetto non si era mosso di un millimetro, aveva osservato tutti i suoi movimenti. Sembrava concentrato sull’assassino, come se stesse registrando ogni sua mossa.

Questa volta a Ludo non venne da ridere; c’era qualcosa, in quell’animale che lo metteva profondamente a disagio. “Assurdo”, pensò, “Non può certo capire…”.

Ma mentre si allontanava dal cantiere, non poté fare a meno di sentire su di sé il penetrante sguardo di due occhietti neri…

Quella notte dormì male; sognò il cadavere dello zio e un enorme falco che calava in picchiata e beccava la carne del cadavere. Sognò occhi neri, profondi e scuri come pozzi, e fruscii di ali che sbattevano furiosamente.

 

 

Alla fine, filò tutto liscio. L’alibi resse alla perfezione, sul luogo del delitto la scientifica non trovò tracce biologiche dell’aggressore e Ludo venne interrogato e rilasciato per ben due volte.

Recitò la parte del nipote in lutto, pensò al funerale, fece tutto ciò che il mondo si aspettava da lui. La ricompensa era vicina: avrebbe ricevuto l’eredità da lì a due giorni.

Ma le ultime settimane non erano state tutte rose e fiori… prima di tutto, ci furono le maldicenze e i pettegolezzi: qualcuno sospettava davvero di lui. I giornali locali lo attaccavano in continuazione, i giornalisti lo sorprendevano ovunque andasse. A quanto pareva il rapporto difficile tra Ludo e lo zio era stato notato da qualcuno…

E poi c’era il falchetto.

Ludo credeva di avvistarlo ovunque: quando usciva di casa la mattina, sopra l’ingresso della chiesa, il giorno del funerale, sui tetti degli edifici mentre passeggiava in centro. A volte si rendeva conto che in realtà si trattava di piccioni o corvi… ma altre volte non era sicuro di quel che vedeva. Ogni sera, quando chiudeva gli occhi immerso nel silenzio della sua stanza, udiva chiaramente un caotico sbattere di ali e un richiamo acuto e gracchiante.

Per poco non gli sembrò di impazzire.

Ma ce l’aveva fatta, ancora quarantotto ore di pazienza e sarebbe tutto finito. Anche il falchetto sarebbe scomparso dalla sua vita. Forse si sarebbe comprato un fucile e avrebbe cominciato ad andare a caccia: lo facevano tutti gli uomini ricchi, in fondo. E già che c’era avrebbe puntato a tutti i volatili dal piumaggio marrone….lo avrebbe aiutato, sì.

All’improvviso, accadde l’impossibile.

La polizia irruppe in casa di Ludo,la sera precedente alla riscossione dell’eredità, mentre si preparava per un’uscita galante. Non capì subito quel che stava accadendo, udiva degli sprazzi di conversazione dei poliziotti <<…omicidio…>>, <<…procurare un avvocato…>>, ma non riusciva a capirne il significato. Non potevano averlo incastrato, assurdo! Rimase in silenzio, non avrebbe saputo cosa dire in ogni caso.

Lo portarono in commissariato e lo rinchiusero in una saletta per gli interrogatori per ore: facevano sul serio. Volevano una confessione.

Come??”, pensava il misero Ludo, “come sono arrivati fino a me?”.

Giunse il suo avvocato e due ispettori della polizia; iniziarono a torchiarlo, ma Ludo schivò le insidie efficacemente. Iniziò a rilassarsi, non avevano niente in mano!

Ma era solo un trucco, ovviamente: volevano che abbassasse la guardia.

Gli accusatori tirarono fuori un computer portatile e fecero partire un video: Ludo vide sé stesso uccidere, con una precisa accoltellata al cuore, la sua vittima. Poi, si vide posizionare il cadavere, lasciare delle false impronte e allontanarsi a bordo di una macchina rubata. L’intero omicidio era stato minuziosamente ripreso e la polizia scientifica si era limitata a migliorare la qualità delle inquadrature: il viso di Ludo era chiaramente riconoscibile.

<<Come?>>, chiese semplicemente alla fine dell’interrogatorio, ormai consapevole della sconfitta: <<Come avete ottenuto quel video?>>. Ludo era sicuro al cento per cento che non vi fossero telecamere nel cantiere… dove aveva sbagliato?

La spiegazione del poliziotto fece cadere Ludo in un abisso di sconforto, da cui riemerse ridendo; all’inizio una risata a singhiozzi, poi una risata forte e sguaiata. Lo trascinarono in una cella di isolamento e lì lo lasciarono, delirante.

Ludo venne processato per direttissima e riconosciuto come parzialmente incapace di intendere e di volere; era semplicemente impazzito.
La storia ebbe fin da subito risonanza nazionale; se aveste comprato un giornale nel periodo dell’arresto di Ludo, avreste letto un articolo simile:

 

OMICIDIO FERRETTI: CASO RISOLTO GRAZIE AD UN FALCO ADDESTRATO.
L’assassino sarebbe il più volte sospettato Ludo Ferretti, nipote della vittima.

Sono passati due mesi dal ritrovamento del cadavere dell’imprenditore Ferretti in un cantiere nella periferia di Terrasta. Gli investigatori, nonostante il loro impegno e professionalità, brancolavano da tempo nel buio. Il delitto sembrava essere totalmente avvolto da mistero.
La situazione si è finalmente sbloccata nei giorni scorsi, quando, secondo la nostra fonte nella polizia, gli inquirenti avrebbero ricevuto ed analizzato un video che incriminerebbe senza alcun dubbio il vero assassino. Altri non sarebbe che il già sospettato nipote del signor Ferretti: Ludo.

Ciò che rende questa storia totalmente fuori dall’ordinario sarebbe proprio il video. Questo sarebbe stato infatti girato niente di meno che da un falchetto addestrato, appartenente ad un gruppo locale di appassionati di falconeria. Uno dei membri avrebbe agganciato ad alcuni dei suoi amici piumati delle piccole telecamere di ultima generazione, con lo scopo di ottenere riprese mozzafiato dall’alto e montare un documentario. Il falconiere avrebbe impiegato settimane per visionare i filmati ottenuti; con sua grande sorpresa ed orrore, una settimana fa, si sarebbe reso conto che uno dei falchetti aveva ripreso nei minimi dettagli un omicidio.
Un fatto in particolare ha lasciato tutti sorpresi: il giovane pennuto, per ragioni sconosciute, non si sarebbe mosso per l’intera durata dell’atto criminoso, fornendo delle riprese chiare e inconfutabili agli inquirenti dell’indagine Ferretti. […]
[Segue intervista a pagina 14].

 

In una cella buia, in un carcere qualsiasi, un assassino sognava il suo delitto perfetto e rideva, completamente perso in deliri di ricchezza e potenza. Nella sua mente malata, lo zio era ancora vivo… e Ludo lo uccideva ancora, ancora ed ancora. Solo che, dopo ogni pugnalata al cuore, il falchetto calava su di lui, con occhi carichi di odio e di risentimento; dilaniava la sua carne con il becco acuminato, gracchiava in modo assordante. Ludo sapeva quel che stava dicendo.

Tu non sei sangue del mio sangue, non sei mio nipote: sei nulla!

 

Il falchetto, dal canto suo, non sapeva di avere rovinato i piani di un assassino o di essere diventato famoso. Pensava solo alla sua prossima vittima e a farsi sostenere da una raffica di vento ascendente, mentre cercava di salire sempre più in alto, sempre più vicino al cielo plumbeo, sopra una città come un’altra, in un giorno qualsiasi d’inverno.

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