Fuori Corso – Finale

Capitolo 10.

N

Aveva ragione! Era tutto chiaro! L’unica cosa, l’unico piccolo, trascurabile particolare che collegava Giacomo a Maria era lui, il professor Moranti. Entrambe le vittime avevano tentato più volte, e con scarsi risultati, di superare l’esame del professore. Sapeva di non avere tra le mani una prova schiacciante, ma decise lo stesso di informare il Rettore. Estrasse il cellulare dalla tasca e compose frettolosamente il numero che lui stesso gli aveva dato.

“Pronto?”

“Pronto! Ciao Pietro, come stai?”

“S… Salve! Come fa a saper che sono io?”

“Pietro, il tuo nome compare sul display. Ma che succede? Mi sembri agitato.”

“Eh… Sì, signore Rettore, potrei aver scoperto chi c’è dietro agli ultimi due omicidi in ateneo. Non ho vere e proprie prove ma sembra tutto condurre lì. Secondo me, potrebbe essere stato il Professor Moranti!”

“Dici sul serio? Sei sicuro al cento per cento di quello che dici? Sai che sono accuse pesanti quelle che presenti?”

“Sì, è stato lui. Ne sono quasi certo.”

“Ne sei certo o quasi certo Pietro? Capisci la gravità di quello che stai dicendo ora? Il professor Moranti è un illustre docente, e lavora con noi da molti anni. È il favorito per il prossimo rettorato”

“Ne sono certo signor rettore! Non ci sono altre spiegazioni! Non possono essercene!”

“Va bene Pietro, facciamo così, prima di andare dalla polizia o informare qualcuno organizziamo un incontro con il professore. Noi tre. Io, tu e Moranti. Faremo in modo di farlo parlare e di fargli confessare se ha compiuto quegli efferati omicidi! Ci stai Pietro?”

“Certamente signor Rettore. Quando?”

“Il prima possibile. Questo pomeriggio alle sedici.”

“Ok, il professore ci sarà?”

“Ci sarà. Sono il rettore! Farà ciò che dico io, no? Ahah! Tranquillo Pietro, hai già fatto tanto per Giacomo e Maria, se hai ragione e questa storia finirà oggi pomeriggio otterrai un riconoscimento speciale. Sono fiero di te, Pietro.”

“Grazie mille signore.”

“A più tardi, stai attento, figliolo.”

“Grazie.”

La voce del Rettore lo rassicurò. Non sapeva perché, ma fin dal loro primo incontro aveva percepito l’affinità che poi si sarebbe creata durante questa improbabile faccenda. Erano amici.

Cullato da questo pensiero, si concesse di riposare. Prese il cellulare e impostò la sveglia per le quindici e venti.

Le poche ore di sonno di quella mattina unite alla notte passata in bianco a cercare una connessione tra i due omicidi lo avevano indebolito molto. Mentre saliva le scale per raggiungere l’ufficio del Rettore sentiva i polpacci dimenarsi e contorcersi come due prigioni. Finita questa faccenda si sarebbe fatto una gran bella vacanza, in barba ai prossimi esami!
L’ufficio era identico a come se lo ricordava. Rifletteva perfettamente la persona che lo occupava. Una persona colta, buona e affidabile. Era una stanza che trasmetteva calore. Dentro, il Rettore lo aspettava seduto alla possente scrivania ottocentesca.

“Siediti Pietro” disse, indicando la sedia alla sua destra.

“Salve. Tra quanto arriva il professore?” chiese.

“A momenti sarà qui. Stai tranquillo. Siamo due contro uno, qualsiasi cosa succeda.”

Bussarono alla porta. La segretaria annunciò il professor Moranti e l’uomo entrò nella stanza. Sembrava abbastanza tranquillo. Più tranquillo di come se lo era immaginato. Meglio così. Sarebbe stato più facile carpirne le emozioni una volta messo di fronte alla verità.

“Signor Moranti si sieda” esordì il rettore con tono fermo.

“Certo.” Prese posto sulla sedia rimasta vuota, guardò Pietro incuriosito e si rivolse di nuovo al rettore.

“Che succede signore?”

Il rettore, con un cenno del capo, diede il via libera a Pietro.

“Signor… Professor Moranti, lei è al corrente dei due omicidi compiuti in questo ateneo?”

“Omicidi? Non erano due sfortunate coincidenze?”

“Questo è quello che qualcuno ha voluto farci credere. Questo è quello che lei ha voluto farci credere professore! È stato lei in persona ad ammazzare quei due poveri studenti! E tutto perché non riuscivano a superare il suo esame! Dica la verità! È stato lei! Li ha ammazzati come fossero cavie da laboratorio! Lei è un pazzo! Lo ammetta! Lo ammetta!!” Pietro si accorse di essere in piedi, le mani gli tremavano, sentiva il pulsare di una vena sul collo. Si girò verso il Rettore e capì di averne il supporto. Calmò il respiro e tornò a sedersi.

Il professor Moranti lo guardava stupito. Pietro sentiva i suoi occhi addosso che lo esaminavano, lo scrutavano alla ricerca di un’informazione. Ad un tratto, l’espressione allibita sul volto del professore mutò in un arcigno sorriso, si passò la mano destra tra i capelli, si schiarì la voce e disse:

“Sei uno studente brillante Pietro. Solo due corpi e già metti i bastoni tra le ruote. Pensi di aver risolto tutto? Pensi di aver vendicato i tuoi due colleghi? Quanto ti sbagli ragazzo mio. Mi dispiace che tu abbia dovuto prendere parte a un qualcosa che non ti riguarda. C’era un metodo. Ma tu hai voluto spingerci ad infrangerlo, e ora ne pagherai le conseguenze. Credi che sia da solo? Io sono solamente il braccio e tu, piccolo ficcanaso, vedrai…”

“Professor Moranti!” tuonò il Rettore.

 

 

 

Capitolo 11.

G

Come ogni mattina si era svegliato dopo tre rintocchi della sveglia. Erano le sette e trentatré e ventisei secondi quando, come al solito, entrò in doccia. Dopo quattro minuti uscì, si asciugò i capelli e scelse il completo che avrebbe indossato. In cucina sua moglie gli aveva preparato il caffè e due biscotti di zenzero. Sul bancale della cucina lo aspettavano la sua colazione, un arancia e il giornale di oggi.

“Buongiorno caro”.

“Buongiorno tesoro”.

Prese il caffè e ne bevve un sorso. Sentì il nero aroma riempirgli la gola e le narici. Aprì il giornale e lesse fino a pagina tredici, dopodiché mangiò un biscotto. Erano i suoi biscotti preferiti, il sapore dello zenzero, insieme dolce e piccante, lo riportava alla sua infanzia, quando sua madre li preparava ogni pomeriggio e mentre studiava glieli porgeva. Continuò la lettura fino a pagina quindici, quindi bevve un altro sorso di caffè. Arrivato a pagina ventotto venne il momento dell’ultimo biscotto. Mentre lo portava alla bocca pensò a tutto quello che stava facendo. Quanti di quei biscotti avrebbe poi potuto mangiare se mai fosse stato scoperto? Sorrise al suo riflesso nel caffè e addentò la sua madeleine.

“Salve Barbara”.

“Salve signore. Le ricordo la lezione di oggi alle ore dieci.”

“La ringrazio. Tra dodici minuti sono pronto.”

Entrò in ufficio e si tolse il cappotto nero. Guardò fuori dalla finestra quello che sarebbe presto diventato il suo regno. Nel vedere gli studenti camminare, fumare e ridere provò disgusto. Dentro di sé, la sua determinazione cresceva. Doveva fare quello che stava facendo. Per sé stesso, per l’Università, per il mondo.

Prese la cartella del mercoledì, controllò che contenesse il materiale necessario alla lezione odierna e lasciò l’ufficio. Indossò il cappotto e il telefono squillò. Portò la mano alla tasca e afferrò il cellulare.

“Si? Pronto?”

Terminata la chiamata compose di fretta il numero del suo ufficio.

“Barbara, per cortesia, annulli i miei appuntamenti di questo pomeriggio. Ho un impegno improrogabile alle sedici. Non posso mancare.”

“Certamente.”

“Grazie.”

Sarebbe stata una gran bella giornata. Avrebbe voluto aspettare a scoprire le sue carte. Ma ormai era troppo tardi. E aveva già deciso chi sarebbe diventato il terzo testimone della sua opera. Si guardò i palmi delle mani, percorse con gli occhi la linea della vita che attraversava tutta la mano. Serrò i pugni. I muscoli degli avambracci si tesero, facendolo sentire più vivo che mai.

La sua voce rimase nell’aria, come l’eco di un tuono in montagna. I suoi due ospiti lo stavano guardando. Dalla parte opposta della scrivania percepiva il disagio di entrambi. Si alzò i piedi, poggiò le nocche sulla scrivania e si sporse verso il ragazzo.

“Professor Moranti”, disse, “non crede di aver detto già troppo al nostro piccolo ospite qui? Non crede sia bene evitare di svelare tutte le nostre carte alla prima domanda? Mio Dio, professore, un po’ di teatralità!”

“Mi scusi signore”.

“Ma… ma… signor, signor rettore. Cosa? Cosa sta dicendo? Non… non capisco.” balbettò il ragazzino di fronte a lui.

“Ba ba ba… non capisco… dov’è finita tutta la tua perspicacia Pietro? Ti sei ammutolito tutto d’un tratto? Sei veramente uno studente brillante, ma hai voluto credere troppo nelle persone, e hai perso. Credi veramente che il professor Moranti avrebbe potuto fare quello di cui lo accusi senza un aiuto? O semplicemente passandomi inosservato? Mi insulti con la tua ignoranza figliolo! Il professore si è limitato ad aiutarmi a scegliere le nostre vittime!”

“Ma signor rettore! Le mi ha sempre aiutato! Io mi fidavo di lei! Perché?”

“Perché, mi chiedi? Ti ho aiutato per amore dell’intelligenza, la tua acutezza mi ha colpito ragazzo mio, e ho voluto vedere fin dove riuscivi ad arrivare. Purtroppo per te, hai lasciato che la fiducia ti…”

“Perché ha ucciso quei ragazzi??”

Il ragazzo era ormai in piedi davanti a lui. Era così vicino da poter sentire l’odore delle sue lacrime. Vide negli occhi il fuoco dal quale era stato affascinato. Peccato, pensò.

“Vuoi davvero saperlo ragazzo? Credi davvero di poter capire?”

Gli occhi del suo giovane investigatore non si mossero.

“Bene.”

Si avvicinò alla finestra, portò la mano destra al mento e disse:

“Per la gloria ragazzo mio! Per la gloria dell’intelletto umano! Per quella gloria a cui dovrebbe ambire ogni individuo che entra in questo ateneo! Sono stanco di vedere ragazzi e ragazze passare anni qui dentro a rimandare l’inevitabile momento della responsabilità! Non siete più bambini e dovete cominciare a vivere! Li ho uccisi, come monito.

Se venire in questa università fosse diventato una questione pericolosa, dove un pazzo serial killer uccide i ragazzi, allora certamente tutti quei buoni a nulla che passano qui le loro giornate se ne sarebbero andati! Si chiama selezione naturale, Pietro. Pensi davvero che un idiota che vuol solo passare altri cinque anni mantenuto dai suoi genitori venga in un ateneo dove rischia la vita? Non credo proprio. Solo i migliori sarebbero rimasti! E solo i migliori sarebbero venuti! Saremmo diventati la più grande università al mondo! E le più grandi menti del nostro tempo sarebbero state forgiate qui. Forgiate da me. E io sarei divenuto il demiurgo del nostro futuro!

Ora lo sai… Questo è quello che accadrà. Non puoi farci niente mio caro figliolo.”

“Lei è pazzo!” strillò il ragazzo.

Non rispose, si limitò ad osservare mentre il professor Moranti immobilizzava il giovane detective. Si avvicinò allo studente, bloccato dalle braccia del docente e in ginocchio per terra. Accostò la bocca la suo orecchio e disse.

“Non l’ho mai fatto ad uno cosciente. Ma c’è sempre una prima volta non credi?”

Estrasse dalla giacca una siringa piena di un liquido oleoso e verdastro. Sollevò il lobo dell’orecchio destro e iniettò il suo veleno.

Fece due passi indietro e osservò la scena. Si era immaginato urla di dolore e lacrime. Invece tutto quello che vide fu un corpo vuoto contorcersi su se stesso come un pesce su una roccia. Una leggera schiuma usciva dalle labbra del ragazzo. Gli occhi spenti ruotavano su loro stessi finché, ad un tratto, smise di muoversi.

“Professor Moranti, mi scuso di tutta questa pantomima. Era un ragazzo sveglio. Lo sistemi. Stanotte lo esporremo al mondo.”

 

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