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Prison Break: La Cortina di Ferro

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Abbiamo da poco festeggiato il quarto di secolo della caduta del Muro di Berlino. Tutto molto bello: Europa unita (con buona pace di grillini e leghisti), elettrodomestici e benessere per tutti (con buona pace di Krusev), la sconfitta del comunismo (con buona pace mia)

Ma parliamoci chiaro, quello che tutti ci stiamo chiedendo è una sola cosa:

era così difficile evadere?

Perchè non so voi ma io, se mi immagino nella Berlino Est negli anni 70 al volante di una fiammante Trabant, anche solo per una questione di sfida personale sarei tutto il giorno ad elaborare un piano di evasione…

 

 

La cortina di ferro

È tuttavia mio dovere prospettarvi determinate realtà dell’attuale situazione in Europa. Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente.

E’ il 1946 e per la prima volta, dalla bocca di Churchill, queste parole fanno il giro del mondo: cortina di ferro. Diventerà quasi un marchio registrato negli anni a seguire, legato indissolubilmente all’infinita guerra fredda.

Già, ma è così facile dividere a metà un continente? Direi proprio di no ma non dimenticate che la WWII è appena finita e noi stiamo giocando a Risiko:

Sul tavolo sono rimasti solo i carrarmatini rossi e quelli blu!
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Partiamo da Nord: il confine finnico i rossi lo presidiano già da anni, lasciamoli lì. Stesso discorso per la Cecoslovacchia appena sotto.

Arriviamo alla Germania. Già, la Germania… bel casino. Ci torniamo dopo.

Più sotto c’è l’ Ungheria ma i carrarmati rossi hanno un’avamposto anche lì. Poi i cugini della Jugoslavia: possiamo considerare presidiato anche quello, di confine. Abbiamo anche il mare Adriatico dalla nostra parte.

Seimila chilometri possono sembrare tanti

Seimila chilometri possono sembrare tanti ma, chiudendo anche il fronte bulgaro il gioco è fatto e l’Europa è davvero divisa in due.

C’è solo un valico che ancora resiste, il vero confine tra socialismo e capitalismo, rosso blu, bene e male (decidete voi a chi accostare l’uno e l’altro).

La Germania, spartita tra i vincitori della WWII, è il nuovo ombelico del mondo

Per capire quanto sia difficile fare il salto dobbiamo capire quanto sia difficile passare da una Germania all’altra.

 

 

Innerdeutsche Grenze

A seguito della spartizione della Germania, finita la WWII, si verifica una situazione piuttosto paradossale. L’ampia zona sovietica, che diventerà appunto la DDR, comprende anche Berlino. Che a sua volta viene però spartita in più settori (americano, sovietico, francese, inglese).

Questo è l’antefatto che porta, negli anni successivi, alla creazione del Muro di Berlino.

L’ immagine sottostante spiega bene la situazione:

 

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In parola povere, Berlino Ovest (che nascerà dalla fusione delle zone alleate) è un enclave alleata all’interno della DDR.

Ovviamente, di pari passo al Muro di Berlino, viene fortificato un muro lungo il confine che separa la nazione teutonica.

Questa fortificazione, col passare dei decenni, subisce varie evoluzioni al fine di aumentarne l’efficacia. Inoltre, grazie a quei nerd della polizia dell’est, abbiamo un sacco di statistiche riguardanti le evasioni. E io amo statistiche come queste.

 

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Dobbiamo però,prima di capire se siapossibile evadere, capire come è stato concepito questo maledetto muro. Possiamo dire che la fortificazione pensata dalla DDR si divideva in 4 macro-zone:

  1. Zona vietata
  2. Striscia di sicurezza
  3. Recinzione esterna
  4. Confine

 

Zona Vietata

Tutti i 5-7 Km del territorio della Germania Est adiacente al confine erano considerate zona vietata. Non era propriamente un’area militarizzata ma gestita tramite checkpoint per regolamentarne l’ingresso.

Ai residenti venivano forniti dei permessi speciali per transitare

Ai residenti venivano forniti dei permessi speciali per transitare senza problemi ma anche loro, nelle ore notturne, erano soggetti al coprifuoco. Come se già tutto questo non bastasse (ricordiamo che siamo a qualche chilometro dal confine, la meta è ancora lontana) alla fine di questa zona c’era un simpatico muretto. Alto 2 metri e sormontato da filo spinato elettrificato, probabilmente non bastava per arrostirvi le chiappe ma in compenso era in grado di segnalare al comando centrale un eventuale interruzione della linea. Siamo solo nella prima zona e già il lavoro si fa complicato.

 

 

Striscia di Sicurezza

 

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Schießbunker_PA_hintenVarcato il primo muro ecco che i problemi peggiorano. Questa striscia, larga da 500 a 1000 metri, era protetta da circa 700 torrette e 1000 bunker sotterranei dislocati lungo i 1500 km di confine. Dei docili e fedeli cani da guardia sguazzavano in questa striscia di terra.

Procedendo verso il confine troviamo una ulteriore striscia, chiamata “di controllo”. In pratica, questo fossato riempito di sabbia, aveva il compito di “registrare” i tentativi di fuga.

Chiunque lo varcasse, lasciando delle impronte, finiva nelle statistiche della Grenztruppen (la polizia della DDR deputata al controllo del confine): in questo modo era facile capire dove costruire una torretta in più, sguinzagliare più cani o montare riflettori maggiorati.

Arrivati al termine di questa zona, se la natura già non dava una mano alla DDR (con un fiume od un burrone, per esempio) troviamo un fossato destinato fermare eventuali mezzi di trasporto lanciati a bomba contro l’ingiustizia.

 

Recinzione esterna

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Sm 70 schlagsdorf 500x500Varcato il fossato arriviamo alla recinzione esterna. Era composta da un altro muro, alto tra i 3 ed i 4 metri, costruito in metallo affilato ed a maglie sottili, accorgimenti che lo rendevano difficile da scavalcare.

La sua composizione, realizzata da pannelli sovrapposti, lo rendeva resistentissimo ad operazioni di forzatura di ogni genere. Avete presente quel tronchese che avete in tasca? Buttatelo.

Non ci resta che scavare, quindi. Ma solo per scoprire che il muro è interrato a profondità variabile.

Nelle zone più a rischio erano inoltre previste delle mine antiuomo montate direttamente sulla recinzione per scoraggiare ulteriormente i fuggitivi (come da foto sopra: riconoscete il design tipico dei manufatti sovietici?) .

 

Il confine

1280px-Freilandmuseum_Behrungen_5Nei primi anni 80 la DDR pensò di rivedere questa zona. Oltre la recinzione esterna non si finiva in Germania Ovest ma nella cosiddetta “Terra di nessuno”.

Ai fini pratici, però, questo era a tutti gli effetti territorio della DDR. Il confine vero e proprio era infatti segnalato da milestones o pali di legno, ad una distanza che raggiungeva, a volte, i 2km dalla recinzione.

Questa modifica permetteva, per prima cosa, di avere ancora potere giuridico nei confronti dei fuggitivi che si fossero spinti fin lì. Oltre a questo risolveva il problema legato alle evasioni di guardie e ingegneri addetti alla manutenzione.

 

Facciamo due conti

Come detto, quei grandi nerd della DDR, hanno minuziosamente riportato ogni tentativo di evasione lungo il confine.

Quello che oggi ci rimane è uno studio fatto nel periodo 1974-1979 che ci dà dei numeri piuttosto deprimenti:

Delle 4956 persone che tentarono l’impresa, solo 229 arrivarono a destinazione. Nel grafico qui sotto potete vedere, settore per settore, dove si fermarono le altre:

 

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Ci sono ancora un paio di considerazioni da fare:

La prima è che, nel 1979, il muro non era ancora alla sua massima efficacia. Negli anni 80, come detto, furono introdotti notevoli bugfix miglioramenti al sistema.

La seconda è che il 55% degli evasi passò per un settore non minato che fu quindi successivamente rivisto.

Se si fanno due conti l’efficacia della struttura è stratosferica, ricordiamo che stiamo parlando di 1500 Km (circa) di confine!

abbiamo un misero 4,6% di possibilità di arrivare ad Ovest.

Con tutti i regali che ci ha fatto la DDR, dimenticandosi di minare una parte del perimetro, abbiamo un misero 4,6% di possibilità di arrivare ad Ovest.

Il restante 95,4% ci porta in galera, nella migliore delle ipotesi. Perchè qui dentro ci sono nascoste altre fini meno gloriose, tipo finire nella ciotola dei cani da guardia oppure headshottati dalla torretta.

Se fossi un brillante pubblicitario, uno di quelli che si auto dichiara creativo e crede all’omeopatia, conierei questo slogan:

Innerdeutsche Grenze: efficienza teutonica al servizio dell’autarchia!

Ma purtroppo sono solo un informatico che vuole andare in Germania Ovest. E l’informatico, quando i numeri gli sono contro, cerca metodi alternativi.

 

 

L’inventiva è tutto

Negli anni della separazione l’inventiva umana ha dato buone dimostrazioni di se stessa.

 

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Assodato che fosse pressochè impossibile varcare il confine a piedi (ok, voi che da grandi volete fare il patè per cani procedete pure, non sto parlando con voi),

i tentativi si concentrarono principalmente su vari mezzi di locomozione

i tentativi si concentrarono principalmente su vari mezzi di locomozione, ma non solo.

Il metodo decisamente più comodo, soprattutto in funzione del costo relativamente basso, era quello di pagare “il servizio” agli appositi professionisti del settore. Di solito il tutto veniva fatto tramite automobili come la BMW Isetta o alcune Cadillac opportunamente modificate con scompartimenti segreti che potessero ospitare uno o più disertori. Si calcola che circa 2000 perone siano riuscite a “fare il salto” in questa maniera.

D’altra parte quale macchina può passare più inosservata di una Cadillac per varcare il confine dell’est?

Tutto questo per gente banale, priva di ogni spirito di innovazione.

Così si pensò di passare per le fognature che ancora congiungevano Berlino Est alla parte Ovest. Ed il tutto funzionò per un certo periodo, prima che la Stasi riuscì a scoprire il meccanismo.

Questo tratto fognario è passato alla storia come il Glockengasse 4711.

Arrivò successivamente il periodo dei tunnel, tra i quali il più famoso è forse il “Tunnel 29” di un italiano, Luigi Spina.

Questo spinse la Stasi ad una vera e propria “caccia al minatore” nella Berlino dell’Est.

Si stima che alcune centinaia di persone riuscirono a varcare il confine sfruttando uno dei tanti tunnel realizzati. Questo spinse la Stasi ad una vera e propria “caccia al minatore” nella Berlino dell’Est.

Col passare del tempo, i cugini poveri della Gestapo riuscirono però ad affinare le ricerche e quindi anche questo metodo fu abbandonato.

Negli anni a seguire si vide di tutto: gente assiderata per avere attraversato a nuoto  il fiume che faceva da confine, fughe su mongolfiere autoprodotte, dirottamenti aerei e furti di carrarmato.

 

 

Prison Break

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Questi dovrebbero essere i fratelli Bethke (non ho capito niente da quel sito teutonico!)

Ma se pensate che costruire una mongolfiera sia già degno di nota,

ancora non conoscete la famiglia Bethke.

 

Ingo Bethke

Ingo Bethke è una guardia di confine della polizia della DDR. Un giorno del 1975, avendo deciso di scappare a Ovest, passa la cortina di ferro a nord di Berlino.

Con un materassino riesce a navigare il fiume Elba (dopo aver superato una recinzione ed un campo minato) e arriva a destinazione.

La diserzione di Ingo non è ben vista dalla Stasi che mette sotto controllo la famiglia del fuggitivo. Per paura di rappresaglie, così, il nostro eroe elabora un piano di fuga degno di “Prison break”

 

Holger Bethke

Il fratello di Ingo, Holger, è un arciere provetto che vaga per Berlino Est alla ricerca di un palazzo. Quello che cerca è edificio tanto alto da dargli un contatto visivo con la parte Ovest della città.

Individuata la costruzione, nel maggio del 1983, Holger lega un filo d’acciao ad una freccia e la scaglia in direzione di Berlino Ovest. Ingo, raccolta la freccia oltre al muro, la lega alla propria auto tendendo così il filo.

Ad Holger non rimane quindi che attaccare una puleggia al filo e salutare tutti con un roboante “auf wiedersehen”.

 

Egbert Bethke

Rimaneva però ancora un fratello in mano alla Stasi. Visti i precedenti, per liberare Egbert, serviva qualcosa di clamoroso. Ingo e Holger decidono così di prendere lezioni di volo. Nel maggio del 1986 tutto è pronto, compreso l’ultraleggero dipinto con le livree sovietiche. I due, vestiti con divise russe, decollano per atterrare a Berlino Est.

Una volta caricato il fratello tornano a Ovest, senza destare il minimo sospetto della polizia di confine.

 

 

Conclusioni

Varcare la cortina di ferro non era affare per tutti. Il tratto più famoso di questo confine, il Muro di Berlino, è passato alla storia per il suo valore simbolico

ma anche per i tentativi di fuga più bizzarri mai provati.

Personalmente non ho le conoscenze storiche per giudicare la struttura in sè e non è nemmeno mia intenzione farlo.

Può una nazione costruire un muro per non rimanere deserta? Dov’ è il confine tra Comunismo e Libertà? Esiste un Comunismo rispettoso dei diritti umani? La caduta del Muro è stata l’inizio di un’era o la fine di un sogno?

Queste sono domande alle quali è difficile, se non impossibile, rispondere.

Quello che mi interessa, quindi, è la costruzione dal punto di vista tecnico, la sua progettazione e i suoi limiti.

Raramente si è visto un confine così sottile tra due nazioni così civilizzate

L’esperienza della DDR personalmente mi affascina molto sia dal punto di visto politico che da quello tecnico. Raramente si è visto un confine così sottile tra due nazioni così civilizzate. Proprio per questo i tentativi di fuga sono stati particolarmente brillanti: avere un’intera città nella quale reperire materiale disparato è un ottimo incentivo all’inventiva.

Se non ci fosse stata la DDR non saremmo qui a raccontarci di mongolfiere autoprodotte, aeroplani camuffati ed altre nerdate simili.

Quello che più di tutto mi interessa, infatti, è raccontarvi di persone qualunque come i fratelli Bethke.

Persone che grazie all’ingegno sono arrivati dove la forza bruta avrebbe fallito.

Persone che, usando il cervello, hanno visto l’orizzonte oltre le recinzioni.

Non posso fare altro che stimare gente come loro, immaginandola davanti al caminetto mentre racconta a fortunatissimi nipoti

quella volta che mi travestii da sovietico per liberare zio Egbert

A tutti i carbonari d’Europa come loro va la mia stima e con gli occhi sgranati ed il sorriso a 32 denti, brindando con una HofBrau bier, mi unisco al loro coro:

Evviva l’Europa unita!

 

 

 

 

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