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Joe Petrosino

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Penso sia successo anche a voi dopo aver letto i titoloni dei giornali: “Una cimice rivela finalmente l’assassino di Joe Petrosino”. Da allora una domanda vi rimbalza nel cervello: “Ma chi è Joe Petrosino?”

O forse no, sono solo io che sono ignorante e mai l’avevo sentito, questo nome. Fatto sta che la storia di Joe è interessante e quasi quasi ve la racconto.

 

 

Una bella storia di emigrazione

La storia di Giuseppe, Joe per gli amici Yankee, è la classica storia che vuoi raccontare al leghista che ti straccia le palle con l’emergenza sbarchi.

La storia di Joe è una di quelle belle storie di emigrazione e umiltà, di impegno e caparbietà che mettono in luce il vecchio stivale nel paese delle opportunità.

La storia di Joe è una di quelle belle storie di emigrazione e umiltà, di impegno e caparbietà che mettono in luce il vecchio stivale nel paese delle opportunità. Un paese che, visto con gli occhi del migrante, non è esattamente fatto di ricchezza e luci scintillanti.

Giuseppe nasce a Padula, in Campania, poco prima che l’Italia venga unificata. È il 1860 e la sua famiglia forse ci sta già pensando a quel viaggio della speranza: destinazione Nuova York, come si diceva allora. Speranza fino a un certo punto, tra l’altro.

La famiglia Petrosino non è propriamente quella che noi abbiamo in mente; non ha le pezze sulle ginocchia dei pantaloni, le scarpe senza suola o la valigia di cartone.

Non è infatti la povertà a spingerli oltreoceano: fatto sta che, all’età di 13 anni, Giuseppe diventa Joe. Il cognome non cambia, invece:

Joe Petrosino, residente a Little Italy, New York.

Sembra un gangster con quel nome, uno di quelli raccontati in Casinò di Martin Scorsese.

 

 

Dopo Napoli c’è Little Italy

Per capire cosa fosse nel 1873 Little Italy ci bastano due numeri. A Napoli ci sono quasi 500.000 abitanti, a Roma 220.000 circa, a Milano 290.000.

 

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[spoiler]Si, lo so. Anche io non me ne faccio ancora una ragione che allora Napoli fosse la città più popolosa. Grazie “Repubblica” di avermelo fatto scoprire.[/spoiler]

 

Little Italy, quel ghetto di Manhattan dove si festeggia San Gennaro e si mangia pizza,

ha il doppio degli abitanti di Roma per intenderci.

Dopo Napoli c’è Little Italy. E se va avanti così sarà dietro ancora per poco.

Joe ha tredici anni e si da da fare alla bell’e meglio. Comincia a fare il lucida scarpe e nel tempo libero studia l’inglese.

Vi ricordate poco sopra cosa dicevo? La storia di Joe è una bella storia di emigrazione anche per questo. Joe lo sa che, se non vuole lustrare scarpe per tutta la vita, deve smetterla di gesticolare e urlare

Uè guagliò!

Sa di essere italiano e che probabilmente gesticolerà fino alla tomba. Però si rimbocca le maniche e presto impara a dire

Hey guy!

mentre lo fa.

 

 

Italiano d’America

Qualcuno ha detto che il migrante, infondo, è come un sasso messo sul bagnasciuga. Se l’acqua lo investe, allora il colore sembra diverso ma è solo un fattore momentaneo:

una volta asciutto avrà sempre il solito, stesso colore.

Non sono mai stato pienamente d’accordo con quell’affermazione ma perchè sia falsa servono 2 fattori: la volontà di capire il nuovo paese e la possibilità materiale di farlo.

Ecco, Joe ha la fortuna e la bravura di averli entrambi sotto mano questi fattori. A diciassette anni parla perfettamente l’inglese e viene assunto dal Police Department come netturbino.

Non ancora maggiorenne è cittadino statunitense ed è così perfettamente integrato nella società newyorkese con un lavoro ed uno stipendio fisso.

Quel sasso cambia colore una volta per tutte: Joe non sembra proprio il classico italoamericano buono giusto per fare da capro espiatorio a qualche problema sociale.

Little Italy intanto è invasa, giorno dopo giorno, da nuovi “paesà” che cercano in quel ghetto il sogno americano.

Come Amerigo, quel lontano parente cui Guccini ha dedicato una bellissima canzone, Joe ha colleghi “inglesi ed irlandesi, polacchi ed italiani”, ovvero quelle etnie considerate più disagiate nella società americana di fine ‘800.

Forse non lavorava tra il sudore e l’antracite delle miniere ma, quando nel 1883 il dipartimento lo promuove da netturbino a poliziotto a Little Italy, il suo si può tranquillamente definire un lavoraccio.

 

 

La Mano Nera

Già perchè in quel quartiere sovraffollato la legalità sta venendo meno.
Forse non ve l’ho detto ma già lo sapete: quei “quattrocentomilaerotti” non sono proprio tutti come Joe e la sua famiglia.

Perché qualcuno le scarpe senza suola e le toppe sulla giacca le ha davvero.

Tanto da fare qualsiasi cosa per magiare un pezzo di pane a fine giornata.

Ma a questo punto della storia, quando la vita di Joe comincia a prendere i contorni di un film, serve un buon nemico perchè la trama sia convincente. Un nemico dal nome vago ma allo stesso tempo spaventoso:

La Mano Nera

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Il termine prese piede nei primi del Novecento e derivava dall’abitudine degli estortori di inviare lettere minatorie alle loro vittime, le quali erano contrassegnate dall’emblema del teschio e tibie incrociate o dall’impronta di una mano nera, accompagnate da minacce di morte, di sfregi e di danneggiamenti.

Fonte Wikipedia

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Forse però se Joe è poliziotto lo deve anche al cattivo di turno. Little Italy sta diventando lentamente il centro della malavita newyorkese e dal Bel Paese arrivano emissari della mafia per instaurare una vera filiale della malavita nel nuovo mondo.

I colleghi di Joe, irlandesi soprattutto, per ovvie ragioni non riescono a infiltrarsi nel ghetto italiano. Ma può farlo lui, il primo poliziotto italiano della storia di New York.

Quell’omino tarchiato tanto deriso dagli spilungoni coi capelli rossi riesce dove tutti avevano fallito, ovvero riportare la legalità a Little Italy.

 

 

Italian Branch

A 35 anni Joe è rispettato da tutti ma soprattutto da un certo Theodore Roosevelt. Grazie al suo appoggio diventa sergente e successivamente tenente, abbandonando così la vita del “poliziotto di strada”.

Diventa infatti un detective specializzato nei travestimenti e nelle indagini ai crimini più importanti. Il piccolo italiano, quello che gli irlandesi un po’ sfottevano e un po’ guardavano con sospetto, li aveva tutti “messi a nanna”.

 

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La vita di Joe adesso sembra davvero un film: ha un lavoro affascinante, delle amicizie ai piani alti e il modo di fare del poliziotto che non scende a compromessi.

Tutto questo partendo dalla puzza del lucido da scarpe in uno dei quartieri più disagiati della grande mela.

Ah, dimenticavo: Joe ha soprattutto un nemico pericoloso. Molto pericoloso. Tanto da attraversare i continenti, dalla Sicilia a New York.
Così in occasione della sua promozione a tenente viene messo a capo di “Italian Branch”, un gruppo di 5 poliziotti italiani specializzati nella lotta alla Mano Nera.

Col passare del tempo i metodi di indagine si affinano e i risultati ottenuti sono notevoli. Joe diventa sempre più famoso a colpi di casi risolti. E non sono casi normali, quelli che risolve Joe sono i casi più famosi. Quelli di cui tutti parlano al bar tra le barzellette e la cronaca sportiva.

Gli anni però passano e siamo ormai arrivati al 1909. La Mano Nera forse è arginata ma non ha proprio voglia di lasciare Little Italy.

Joe ha 49 anni ed ha deciso che è proprio ora di chiuderla questa faccenda.

 

 

Sotto Copertura

Ma per farlo bisogna andare nella tana del nemico, in quella Palermo dove si imbarcano gli scagnozzi dei boss oltre che tanti poveri straccioni.

Sulla missione c’è ovviamente il massimo riserbo: Petrosino è quasi una star a New York e nulla deve trapelare.

E invece trapela tutto: un quotidiano statunitense pubblica lo “scoop”:

Joe va nella tana del lupo, il poliziotto senza paura tornerà in Italia.

La fuga di notizie non spaventa il tenente che non rinuncia alla missione.

Il 12 Marzo 1909, a Piazza Marina, Palermo, si sentono 4 colpi di pistola.

I testimoni parlano di uomo cadere a terra e 2 persone scappare. Joe è raggiunto da 4 colpi di cui uno mortale, alla testa.

 

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Per capire quello che è stato Joe Petrosino nella grande mela ancora una volta ci affidiamo ai numeri e contiamo uno per uno i partecipanti al suo funerale. Armatevi di pazienza però, perché dovrete arrivare fino a 250.000. Avete presente lo stadio di San Siro? Ecco, ne servono 3 per sfiorare quella cifra.

Siamo nel Marzo del 1909 e mai nessun altro funerale, in America, ha raccolto una simile folla.

 

 

Le scoperte recenti

Per l’omicidio si sospetta subito una persona. Il nome è Vito Cascio Ferro. Ci sono 3 fatti che fanno posare l’attenzione su di lui.

Il primo è che Vito, nella vita, fa il boss mafioso. Il secondo è che quel nome, Vito Cascio Ferro, gli inquirenti l’hanno trovato nella stanza d’albergo di Joe, su un quadernetto nel quale annotava i nomi delle persone sulle quali indagava. Il terzo, forse quello dal maggior peso, è che quel boss mafioso, nel portafogli, ha la foto di Joe.

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Su di lui non ci sono comunque prove schiaccianti e Don Vito, dopo qualche giorno, torna a casa propria.

Anche perché ha un alibi. Alle 20.45 di quel giorno di Marzo Vito era da un caro amico: di nome fa Domenico De Michele Ferrantelli e tutti quanti gli danno dell’Onorevole.

Gli inquirenti ricostruiscono comunque i fatti. A Little Italy, chi muove i fili della malavita si chiama Giuseppe Morello.

È lui in persona, insieme a Giuseppe Fontana, un altro boss emigrato nella mela, che contatta Don Vito dicendogli che quello di Joe verso la Sicilia deve essere il suo ultimo viaggio. Quello di Don Vito sarebbe un omicidio su commissione quindi.

Sarebbe. Perché le prove, ancora una volta, non ci sono.

Fino al 23 Giugno 2014 quando un’intercettazione telefonica racconta questa storia:

Lo zio di mio padre si chiamava Paolo Palazzotto, ha fatto l’omicidio del primo poliziotto ucciso a Palermo. Lo ha ammazzato lui Joe Petrosino, per conto di Cascio Ferro.

Chi parla è Domenico Palazzotto, pronipote dell’omicida. Son servite 2 generazioni e la casualità per risolvere l’omicidio del poliziotto tutto d’un pezzo.

 

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