Godzilla, uno sguardo attraverso 60 anni di carriera

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Ieri sera ho finalmente pouto vedere i secondo remake americano di Godzilla, e dico “finalmente” perchè l’hype intorno a questa pellicola è stato qualcosa di allucinante per il sottoscritto.

Bene o male attribuisco a Godzilla il motivo principale per cui sono diventato un appassionato di cinema.

Bene o male attribuisco a Godzilla (e a Megaloman) il motivo principale per cui sono diventato un appassionato di cinema.

So che una frase simile può davvero far sorridere, ma è stato guardando quelle produzioni così anomale che mi è venuta la curiosità di comprendere cosa potesse mai esserci dietro la scelta di infilare un attore dentro ad un costume (tecnica definita suitmation) sperando di far passare per realistiche le scene di distruzione di massa causate da un essere posticcio.

gojira_smallHo visto il mio primo film di Godzilla ad appena 7 anni, si trattava de “Il trionfo di King Kong“, pellicola del 1962 allora trasmessa da una rete locale, e sono rimasto totalmente affascinato dalla semplicità con cui il regista Ishiro Honda era riuscito a creare dell’intrattenimento puro e semplice.

Da allora non ho più abbandonato la saga del lucertolone atomico e, arrivato all’adolescenza, sono riuscito a procurarmi in VHS altri film come “Ai confini della Realtà” (il terribile titolo italiano dato a Gojira tai Megalon) e a collezionare le rare locandine italiane di queste pellicole.

Finalmente, quando ormai ero all’università, la Yamato Video ha doppiato e immesso sul mercato home video anche i film degli anni ’90, e grazie alla fantastica libreria Mondo Bizzarro di Bologna sono riuscito a recuperare quasi tutta la filmografia di Godzilla acquistando costosissimi VHS inglesi.

Ho atteso con profonda ansia il film che ho visto ieri sera, e sono rimaso profondamente deluso.

Scrivo tutto questo non per auto celebrarmi (anche perché cosa ci sia di meritevole nell’aver speso così tanto tempo e denaro per guardare dei film) ma per far comprendere a chi mi legge che ho atteso con profonda ansia il film che ho visto ieri sera, e sono rimaso profondamente deluso.

La delusione più grossa l’ho avuta da Gareth Edwards, il regista della pellicola, perché ho apprezzato moltissimo il suo precedente lavoro Monsters di cui tempo fa ho parlato sul mio blog personale.

Quando ho saputo della sua presenza dietro a questo progetto il mio entusiasmo è schizzato alle stelle perchè chi ha visto il suo precedente film sa bene che il pregio più grande di Monsters sta nell’essere parzialmente  riuscito ad amalgamare alla perfezione degli aspetti non proprio omogenei quali il problema dell’immigrazione, il complesso di un figlio che non è all’altezza del padre, una storia d’amore e l’invasione della terra da parte di mostri alieni, e il tutto con un mockumentary!

 

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Considerando che questa nuova incarnazione di Godzilla era affidata alle mani di Edwards, quando ho sentito dal trailer inglese che si faceva riferimento agli esperimenti del 1954 ho subito sperato che il punto di partenza fosse proprio il primo Gojira di Honda, la pellicola più drammatica e toccante dell’intera saga nipponica (prima che nel corso degli anni si evolvesse in qualcosa di completamente differente, relegandosi ad un pubblico di bambini).

Già perchè Godzilla, o meglio Gojira, non è altro che uno spauracchio, la metafora di un terrore profondamente vissuto da una nazione che si è sentita impotente dinanzi ad una forza estranea di dimensioni sovraumane, capace di radere al suolo una città.

Il terrore vissuto con l’esplosione della bomba su Hiroshima è stato reinterpretato da Ishiro Honda nella pellicola del 1954 utilizzando ciò che per eccellenza in natura è già di per sé un incredibile effetto speciale: i dinosauri.

Sin dai titoli di testa (dove echeggia il nome di Yoshimitsu Banno tra i produttori esecutivi) il film di Edwards dà prova di calcare molto bene l’originario clima di minaccia ma anche di sacrificio vero tema dominante del film di origine.

La prima parte è costruita maggiormente attorno a due protagonisti.

La prima parte è costruita maggiormente attorno a due protagonisti e tenta di introdurne la psicologia attraverso il trauma della perdita. Il sacrificio di un affetto comune porta alla separazione fra i due comprimari dando lo spunto per lo sviluppo successivo della trama.

È qui che il regista ha davvero dato il meglio di sè

A mio modo di vedere è qui che il regista ha davvero dato il meglio di sè riuscendo perfettamente a catturare tanto l’angoscia ed il terrore verso alcune minacce e disgrazie attuali (tsunami, tragedia di Fukushima, 9/11) quanto il senso di desolazione e di tristezza che si prova dopo averle subite sulla propria pelle.

 

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Il rientro a casa dei protagonisti a 15 anni dall’incidente della centrale atomica è reso in maniera esemplare.

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La pellicola inizia a vacillare proprio dove ci si aspetta il suo climax ovvero all’ingresso dei colossi atomici.

Nonostante questa cura per le emozioni e il costante riferimento al rapporto di paternità già correttamente evidenziato nella recensione di Claudio Tamburrino, la pellicola inizia a vacillare proprio dove ci si aspetta il suo climax ovvero all’ingresso dei colossi atomici.

Godzilla è assolutamente magnifico nella sua grandezza esagerata, e nel momento in cui ho visto il muso del mostro, riadattato dalle più recenti incarnazioni nipponiche, animarsi perfettamente per eseguire il primo ruggito mi è venuta la pelle d’oca (peccato che abbiano modificato sensibilmente l’inconfondibile verso originale).

Godzilla è assolutamente magnifico nella sua grandezza esagerata
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Diverso discorso invece per le altre due creature. Muto per quanto ben realizzato e intelligentemente studiato (vera chicca l’utilizzo di EMP) non mi ha convinto del tutto.

È un fattore puramente estetico, ma quel che più ha destato dubbi in me è la somiglianza del muso triangolare di Muto con quello del mostro Gaos (Gyasu) della saga di Gamera. Probabilmente è solo una mia impressione, ma ho trovato bizzarro dare a Godzilla una controparte simile al villain di una saga che da sempre è separata e distinta.

Ciò che proprio non mi è andato giù è l’incredibile lentezza con cui scorre la trama.

Queste sono pecche puramente estetiche che comunque non hanno influito sul mio giudizio finale. Ciò che invece proprio non mi è andato giù è l’incredibile lentezza con cui scorre la trama.

Già perchè superata l’introduzione iniziale, che deve per forza esserci in un film che attinge da una saga come questa, inizia una fase di scontri fra titaniche creature intervallati dai tentativi dell’uomo di fare da sé impiegando il consueto e inutile stuolo di militari di cui fa parte il protagonista.

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Il messaggio di sacrificio e di rassegnazione agli eventi, ben presente nella pellicola del 1954, è lasciato nelle mani del personaggio di Ichiro Serizawa (Ken Watanabe) scienziato che dinanzi all’esercito americano, sempre pronto ad imbastire azioni militari a suon di bombe, sa solo dire “mah, io lascerei fare a Godzilla”.

godzilla-face-palm-smallForse il concetto poteva essere espresso meglio, ma nella pellicola assistiamo ad altri momenti in cui la sceneggiatura prende delle scorciatoie che in più di un’occasione valgono un facepalm.

 

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L’autociserna rovesciata casualmente all’imboccatura del nido di Muto è forse il momento di massimo WTF.

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Ho trovato davvero spettacolari e angoscianti gli incidenti aerei causati da Muto

Sul versante degli scontri ho trovato davvero spettacolari e angoscianti gli incidenti aerei causati da Muto ma non posso dire di essere rimasto soddisfatto dai duelli fra le creature.

Sebbene realizzati con una computer grafica perfetta i combattimenti sono diretti in maniera quasi sfuggente.

Sono convinto che questa sia una scelta del regista che ci mostra solo sul finale due scene trionfali al limite della tamarraggine.

Credo che Edwards abbia voluto alimentare sin dal principio la curiosità dello spettatore mostrando le creature subito, ma relegandole a fugaci apparizioni per lo più mostrate tramite monitor ad infrarossi o notiziari televisivi.

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Quando finalmente si  arriva allo scontro diretto ho visto molte persone controllare sul display dei telefonini l’orario.

È uno stratagemma che ho comunque apprezzato come scelta, ma che contribuisce a rendere il film pesante e lento perché quando finalmente si  arriva allo scontro diretto ho visto molte persone controllare sul display dei telefonini l’orario (!!!).

Oltre a questi difetti, che probabilmente non tutti condivideranno, credo che un’altra pecca della sceneggiatura sia nella gestione del protagonista.

Far affrontare al tenente Ford Brody tutta la sequela di catastrofi che ci vengono mostrate, e da cui esce sempre indenne, è un bell’impegno.

Specie se ad interpretarlo troviamo il monoespressivo Aaron Taylor-Johnson col suo sguardo vitreo rubato a Tobey Maguire.

A salvare il comparto recitativo ci pensano Juliette Binoche e Bryan Cranston ai quali è affidata una delle scene più drammatiche della pellicola

 

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Il Godzilla di Edwards è una pellicola che funziona molto bene in principio, ma che man mano mostra delle incertezze.

Il Godzilla di Edwards è una pellicola che funziona molto bene in principio, ma che man mano mostra delle incertezze che non possono soddisfare un fan di vecchia data come lo scrivente.

Bene o male il pubblico del cinema ieri sera dato l’impressione di aver apprezzato nel complesso il film regalando un applauso proprio sulla scena finale che peraltro cita proprio la pellicola “Il Trionfo di King Kong” menzionata all’inizio dell’articolo.

In me rimane però il dubbio che l’entusiasmo degli spettatori fosse più che altro dovuto al fatto che finalmente il film fosse finito, e con questa frase mi preparo a scatenare l’inferno dei commenti.

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