A.R.C.A. Il risveglio di Pito

A.R.C.A. Il risveglio di Pito

Chi pensava che solo i giapponesi o gli americani sapessero inventare robottoni era nel torto. Questi A.R.C.A. mangiano spaghetti e combattono esclusivamente in minoranza schiacciante.

Come in ogni romanzo di fantascienza avventurosa che si rispetti non mancano né macchine pensanti, né riflessioni sul senso dell’umanità snocciolate tra un laser e una granata al plasma.

Armeggiando con il Kobo nuovo di zecca la sera della vigilia mi sono ritrovato per le mani A.R.C.A. – il risveglio di Pito. Il profilo Kobo era fresco di frigo e mi sono deciso a comprare ciò che mi attirava dalla copertina senza badare troppo a cosa fosse in realtà.

Devo dire che sono rimasto molto colpito dal libro che ho scaricato per caso! Prima che diventi too mainstream e noto ai molti perché questo romanzo rappresenta una rarità nella produzione italiana fantascientifica.

Un gruppo di piloti di Armature Robotizzate per il Combattimento Aggressivo fronteggia un devastante attacco planetario portato avanti dai soliti cattivoni dotati di flotta spaziale, i Mokter.

Superata l’immagine di copertina, di colpo, mi sono ritrovato in un universo immaginario in cui un gruppo di piloti di Armature Robotizzate per il Combattimento Aggressivo (da qui l’acronimo A.R.C.A.) fronteggiava un devastante attacco planetario portato avanti dai soliti cattivoni dotati di flotta spaziale, in questo libro chiamati Mokter.

La guerra che infiamma la galassia coinvolge i Mokter, uno dei regni umani più potenti, contro l’Intesa Siderale, un’alleanza politica che garantisce la pace, dotata di un esercito chiamato Armata Comune di cui gli ARCA sono la punta di diamante, colpevole secondo i Mokter di aver imposto al loro popolo uno stile di vita troppo misero e umiliante.

La storia è incentrata sulle peripezie dei piloti all’interno del tipico contesto manicheo buoni/cattivi.

Le scene principali sono qualcosa che sa di già visto, in cui però i personaggi, capitanati da un certo “Boss” Basosky, si muovono in modo imprevedibile, servendo come professionisti su un palcoscenico collaudato.

I registi, due sconosciuti autori italiani, colgono a piene mani dall’oceano sterminato degli spunti videoludici e filmografici offrendo comunque un prodotto con una sua personalità.

Gli ARCA sono cazzuti e corazzati, e non mancano i dettagli tecnici che ci fanno apprezzare  ancora di più queste macchine antropomorfe sgraziate ma devastanti. I fan delle saghe mecha classiche (una tra tutte: Gundam) non potranno non trovare somiglianze con alcune armi molto famose, nulla che non si sia già visto in ogni videogame o film in cui faccia capolino un robot, un esempio tra tutti il recentissimo Titanfall, amalgama di cose simili, tanto che viene quasi il sospetto che ci possa essere un collegamento tra ARCA e il gioco per Xbox.

Proseguendo con le pagine emergono svariati personaggi laterali, alcuni davvero intriganti, altri costruiti ricalcando l’avventore medio delle foresterie di Morrowind, che lasciano dietro di sé  una serie di dettagli e azioni apparentemente senza un significato intrinseco ma che ci fanno capire che la vera trama è tutt’altro che quella che ci sembra di leggere.

A questo punto potreste pensare? Embè? Niente di così teatralmente nuovo. No, o per lo meno non per me.

Procedendo con l’azione si entra lentamente nella storia vera, una sorta di play within the play fatta di dettagli e mezze parole proferite qui e là, dando senso al titolo del libro.

A gigantesche battaglie e missioni sul filo del rasoio, fanno da contorno sprazzi di filosofia, informatica e meccanica spicciola. La conclusione spiazza, guizzando verso una direzione davvero poco prevedibile, facendo capire il senso del risveglio di Pito solo con le ultime righe.

ARCA il risveglio di Pito è senza dubbio nelle intenzioni degli autori l’inizio di una saga, come d’altronde grida a gran voce il finale.

ARCA il risveglio di Pito è senza dubbio nelle intenzioni degli autori l’inizio di una saga, come d’altronde grida a gran voce il finale. 

È un romanzo che si prende sul serio, senza paura di cedere talvolta nella supercazzola per piacere a un pubblico allargato.

Non ammicca agli stili più modaioli come lo steampunk preferendo trarre ispirazione da decine di anni di fantascienza classica.

Sospendo il giudizio su un paio di passaggi poco chiari che spero verranno sviluppati meglio in un secondo volume, in più pagine e senza l’ansia di dimostrare qualcosa.

Lo ritengo un’ottima lettura perché si tratta di qualcosa dal sapore straniero ma dall’italica fattura, perché mi piace pensare che si tratti di un ritorno in grande stile dei robottoni a un prezzo quasi ridicolo, perché questa galassia lontana lontana in particolare, qualcosina da dirci lo ha.

 

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