Maelish

Maelish

L’alba era giunta da poco. John era abituato a svegliarsi già diverse ore prima che il sole facesse la sua comparsa. I suoi due compagni no. Il bracconaggio era severamente punito nel Borveer, bisognava essere cauti.

John lo sapeva. I suoi due compagni no.

Per questo motivo agiva di notte, quando era più difficile per i ranger e i guardaboschi riconoscere i trasgressori. Già da diverse settimane pianificava la caccia di quel giorno. Il vecchio Sam si era rotto una spalla e Mald era in una cella a scontare la pena per aver accoltellato quella puttana a Restov. Aveva dovuto ripiegare su due novellini. ne avrebbe avuto bisogno per trascinare la preda. John sapeva muoversi nella foresta. I suoi due compagni no.

 

Per il vecchio bracconiere era facile seguire le orme della grossa tigre sulla neve. Avrebbe passato tutto l’inverno con il boccale pieno e circondato da prostitute con il denaro che avrebbe ricavato da quella pelle. Per non parlare dei denti, conosceva due tizi che avrebbero pagato una fortuna per averli.
Si sfregò le mani, un po’ per scacciare il freddo e un po’ per l’eccitazione. Pregustava già il sapore del vino caldo e l’abbraccio delle baldracche. Temeva solo che l’incompetenza dei novellini rovinasse il manto del felino. Era necessario ucciderla col minor numero possibile di frecce. Con Mald e Sam sarebbe stato più tranquillo.

C’era però un aspetto positivo. Non avrebbe dovuto spartire il guadagno. La caccia è pericolosa, specialmente quando la preda è una grossa Tigre del Borveer. È facile che il cacciatore diventi preda, gli incidenti capitano.
John sapeva che quella sarebbe stata l’ultima caccia per loro. I suoi due compagni no.

 

< Hey John, quanto manca? >

Quando quel ragazzino gli rivolgeva la parola gli prudevano sempre le mani

< Parecchio se continui a fare tutto questo dannato baccano! >

< È da ore che cavalchiamo, sei sicuro che questa Tigre non sia frutto della tua immaginazione? > fece eco l’altro sbarbatello

< E allora dimmi, sarebbe stata la mia fottuta immaginazione a sbranare tutti quei Ranger negli ultimi mesi? Quella bestia ci ha fatto un bel servizio. Nonostante ciò non voglio passare i prossimi mesi sobrio, quindi tappatevi quel buco dentato e seguitemi! >

Scese a terra e legò il cavallo a un ramo.

< Da qui proseguiamo a piedi. Arco in mano, bocca chiusa e statemi dietro. >
I giovani per un volta obbedirono in silenzio.

Poco più in là sul sentiero scorse un mucchio di feci. Il vecchio si chinò e ci cacciò un dito dentro, con disgusto degli altri. La cosa gli strappò un sorriso malizioso

< è solo merda. Non ha mai ucciso nessuno >

Si pulì sul mantello di quello più vicino

< è ancora calda, con questa fottuta neve non può essere lontana. >

Il ragazzo col mantello sporco di merda stava per dirgli qualcosa ma preferì rimanere in silenzio

< Non sarà come cacciare un dannato cervo. Se ne avrà la possibilità ci attaccherà. >

Il bracconiere mise mano alla borsa sulla cintura tirando fuori tre fialette contenenti un liquido ambrato. Ne consegnò una a ciascuno

< Questo la paralizzerà in pochi secondi. Bagnateci la punta di una freccia e fanculo a voi se ne fate cadere anche solo una goccia! Quella roba costa dell’oro e giuro sugli Dei che vi ficco un dito nel culo se la sprecate! Avete già visto che non mi fa schifo un po’ di merda sotto le unghie! >

 

Seguirono le tracce del grosso felino per un’altra ora circa, quando giunsero nei pressi di una cascatella. John fermò i due giovani con un gesto.

La Tigre era lì, ne sentiva l’odore. Avevano camminato sottovento, l’animale non poteva averli sentiti. John lo sapeva. I suoi due compagni no.

Erano chiaramente spaventati, venti inverni erano pochi per andare a caccia di tigri. Il vecchio rise di loro. Come tutti i vecchi godeva nel vedere quelli più giovani farsela sotto e quei due se la stavano proprio facendo addosso!

Tirò fuori una freccia dalla faretra e ne cosparse la punta con il veleno ambrato. I due ragazzi fecero lo stesso.

Si posizionò dietro un albero. Aspettò qualche minuto fermo in quella posizione.

Si scorse un poco e vide la preda. La maestosa tigre stava bevendo dal torrente. Il vecchio tornò dietro l’albero e fece cenno ai due di stare fermi. Era dall’altra parte del corso d’acqua, ci avrebbe pensato da solo.
Incoccò e tese la corda. Il respiro si fece più regolare. Le pesanti palpebre arrossate si chiusero per un attimo. Il bracconiere si mosse di scatto. Spuntò da dietro l’albero e lasciò partire il dardo senza neanche mirare. Si ricordava perfettamente la posizione del bersaglio. La freccia si conficcò nella carne dell’animale, strappandole un ruggito di dolore. La bestia si alzò e con uno scatto corse dentro la grotta dietro di lei.
< Muovete il culo, si è condannata da sola >

I due erano rimasti tutto il tempo dietro un masso e ci sarebbero rimasti ancora volentieri. Il ruggito aveva dato un implicito invito a rimanere fermi o, se possibile, scappare dalla parte opposta a quella imboccata dal vecchio.

John aveva già attraversato il torrente ed estratto il pugnale. La tigre sarebbe stata inerme, l’avrebbe sbudellata con sicurezza. Certo, non sarebbe stato piacevole per l’animale ma sinceramente a John non importava. Il suo unico pensiero in quel momento erano le tette di Rose piantate sulla sua faccia. Quella troia lo faceva uscire di testa.

< Voi due! entrate, e tenete l’arco pronto, se quel diavolo si muove ancora colpitelo! >
Non c’era motivo di rischiare entrando per primo. Quei due erano morti che camminavano, non sarebbero comunque usciti da quella grotta.

I ragazzi si guardarono negli occhi e,tremanti, entrarono nella caverna.
John si guardò alle spalle controllando che nessuno li avesse seguiti. Un ghigno sbilenco e una scatarrata rumorosa accompagnarono il suo ingresso nella tana della preda. John sapeva che presto sarebbe ripartito con una tigre in più e due compagni in meno.

 

Dentro la caverna i due giovani erano già arrivati davanti alla tigre. Stava sdraiata a terra,ansimante, abbastanza indifesa da spingere il più giovane a sferrarle un calcio

< Hai visto Pitt? Questa stronza sta morendo. Non vedo l’ora di tornare a casa e gustare il sapore dell’oro. >

si girò verso John, la paura ormai lontano ricordo
< Metà a te e metà noi vecchio, giusto? questi erano i patti >

John si trattenne dal ridere.

< Certo. I patti sono patti. Ora datemi una mano. >

Estrasse il pugnale ricurvo dal fodero sulla schiena e si avvicinò alla tigre. I grandi occhi gialli erano fissi su di lui.

Un verso, più simile a un miagolio che a un ruggito, lo costrinse a voltarsi di scatto.

Una piccola tigre spuntò dall’ombra in fondo alla caverna, dirigendosi verso il gruppo di cacciatori. Il cucciolo corse verso Pitt che facilmente riuscì a schivarlo, mandandolo a schiantarsi contro la roccia con un calcio. John seguì tutta la scena con sorpresa, non si aspettava un’altra tigre, seppur piccola e indifesa come questa. Si leccò le labbra. Oro extra, un cucciolo poteva valere molti soldi. Magari avrebbe potuto comprare a Rose un bel vestito. Le cosce delle donne si aprono con molta più facilità se prima le fasci nella seta. Un urlo di dolore lo destò, costringendolo a voltarsi nuovamente. Dale era rimasto fermo come un’idiota e la tigre, spinta dalla volontà di difendere il cucciolo ne aveva approfittato per artigliargli la gamba.

Almeno non avrebbe dovuto preoccuparsi per la cicatrice, sarebbe morto prima del tramonto. Aveva solo bisogno di lui per scuoiare l’animale.

La tigre, dopo aver colpito Dale, era stramazzata al suolo. Immobile. Solo i grandi occhi permettevano di capire che era ancora viva. Due cerchi di ambra spalancati, pieni di orrore e spavento, fissi sul suo cucciolo fermo a terra vicino alla parete. Il cucciolo fissava la madre, e la madre fissava il cucciolo. Grandi occhi che fissavano piccoli occhi.

John affondò il pugnale nel petto dell’animale e i grandi occhi gialli si chiusero per sempre. I piccoli occhi gialli sempre aperti. Ancora più aperti.

 

 

 

< Pitt, vai a prendere qualche ramo e fai una gabbia per il gattino >

< Non lo uccidiamo ?>

Il vecchio si trattenne dallo sferrare un pugno al ragazzetto. Presto avrebbe liberato il mondo dalla sua idiozia

<Fai come ti dico e basta cazzo!>

Il ragazzo corse fuori dalla caverna.

< E tu Pitt vatti a lavare la ferita se non vuoi farti amputare quella gamba >

L’altro ragazzo, seppure claudicante, corse fuori dalla grotta ancor più velocemente

I piccoli occhi gialli si erano chiusi.

< Cazzo! >

John si avvicinò al corpicino dell’animale

< Merda merda… se quell’imbecille l’ha uccisa… >

la vecchia voce proruppe in un grido roco e cupo

< Sia dannata Pharasma! Perché non posso ucciderlo due volte? >

Prese il cucciolo e lo girò sul fianco delicatamente, come si fa con qualcosa di fragile e prezioso.

Respirava ancora. Il vecchio sorrise

< Bene > pensò

< Mi accontenterò di ucciderlo una volta sola >

Tornò al cadavere della bestia. Il coltello affondò ancora una volta nella carne della tigre.

 

 

Il sole era quasi giunto al culmine quando il vecchio finì di pulire la tigre. La pelle era ancora rozza. Avrebbe finito il lavoro una volta tornato a casa.

Era talmente assorto nel lavoro che si accorse solo in quel momento dell’assenza dei due ragazzi

< Quanto cazzo ci mettono a intrecciare due rami e a sciacquarsi una ferita? >

Lasciò il coltello accanto alla preda e afferrò l’arco. Estrasse la seconda freccia del giorno. Dopo quella ce ne sarebbe stata solo una terza.

< Dale! Quanto ci metti a lavarti quella cazzo di gamba? >

Voleva capire la posizione del ragazzo. Era ferito e disarmato ma se avesse urlato, Pitt avrebbe avuto il tempo per scappare.

Nessuna risposta da fuori.

< Dale! Vieni qui ed aiutami a portare fuori questa merda! >

Si avvicinò al muro della grotta. Quel figlio di puttana non rispondeva. Il dubbio si insinuò nella mente vecchia e contorta dell’uomo.

<Quei due vogliono uccidermi! Aspettano solo che io metta piede fuori dalla grotta! Schifosi figli di puttana! Hanno avuto la mia stessa idea!>

Si allontanò dall’entrata. Passò i minuti successivi a pensare al da farsi. I ragazzi erano degli imbecilli ma erano in superiorità numerica, avrebbe potuto ucciderne uno ma sicuramente l’altro avrebbe avuto tutto il tempo per colpirlo. Non gli andava di rischiare la pelle.

Si avvicinò all’entrata e prese un lungo respiro

< D’accordo maledetti ratti di fogna! Ho capito il vostro gioco! Ora ascoltate quello che ho da dirvi io. Ho qui la maledetta pelle e giuro su tutti gli dei e sul mio beneamato cazzo che la straccio in mille pezzi se non deponete gli archi e mi fate uscire di qui! >

Fuori solo lo scrosciare dell’acqua dava risposta alle sue minacce.

< Sentite bastardi, posso passare intere settimane qui dentro! Ho carne e acqua in abbondanza, se pensate di prendere il vecchio John per fame siete fottutamente fuori strada! >

L’acqua continuava a scorrere.

John torno al cadavere scuoiato e gli diede un calcio di frustrazione.

 

Passarono le ore e si fece sera. Il sole era appena tramontato. Un disco arancione che affondava nelle montagne a ovest. John era rimasto tutto il tempo a pensare a come agire. Cibo ne aveva in abbondanza, la tigre era commestibile. Di acqua pure ne aveva: un sottile rigagnolo sgorgava dalla parete in fondo all’anfratto.

Purtroppo l’unico modo di uscire era ripercorrere i propri passi. Aveva esplorato tutta la caverna ma, con grande delusione, questa non si estendeva molto oltre il punto in cui aveva eviscerato la tigre.

Da mezzogiorno quando aveva scoperto che i due volevano la sua pelle tanto quanto volevano quella della tigre, mille problemi si erano allineati nella sua testa. Il primo fra tutti era che presto avrebbe dovuto dormire, al massimo avrebbe potuto resistere un altro giorno.

Il tigrotto si era svegliato diverse ore prima e aveva dovuto legarlo con una corda per non farlo scappare. Lo stronzo non aveva smesso un secondo di frignare da quando lo aveva immobilizzato.

La testa gli scoppiava. Se non avesse smesso presto avrebbe ucciso anche il piccolo e fanculo all’oro.

Per fortuna del cucciolo, i suoi piccoli occhi si chiusero quando John era ormai al limite di sopportazione.

Passarono altre ore. La luna pallida aveva già preso il posto d’onore in cielo.

John era nervoso. Passeggiava selvaggiamente avanti e indietro per evitare di addormentarsi. Fu mentre stava camminando che una strana scarica di impulsività prese possesso del vecchio. Afferrò l’arco e si diresse all’uscita. Sputò un grosso grumo di catarro per terra è uscì. La notte lo abbracciò

< Finiamola subito… >

 

John uscì lentamente dalla caverna. Nessuna freccia per il momento. Bene, pensò.

La luna colorava la radura vicino alla cascata con tinte spettrali. Ancora nessuna freccia.

< Allora cagasotto? Non avete le palle di farvi avanti neanche adesso? >

Il cacciatore fece qualche altro passo all’esterno. Si chiedeva dove fossero quei due mocciosi. Più avanti, vicino a un cespuglio scorse una sagoma accucciata.

Con una velocità sorprendente per la sua età scagliò una freccia che volò dritta centrando il bersaglio. Il rumore era inequivocabile, lo aveva sentito un sacco di volte. Lo stesso rumore che fa un frutto marcio quando cade. O una freccia che colpisce un cranio. Incoccò in rapida successione altre due frecce e scagliò.

Si abbassò dietro un masso. Aspettava che l’altro facesse qualche rumore. Nulla.

Passarono i minuti ma nulla turbò la quiete della notte. Si alzò per andare a vedere chi dei due avesse ucciso. Il cadavere vicino alla vegetazione era quello di Pitt. Rimaneva solo lo zoppo. Stava per allontanarsi quando si accorse della quarta freccia conficcata nella nuca del ragazzo. Lui ne aveva scagliate tre.

Si girò di scatto e si lanciò verso la grotta ma fu troppo lento. Il sibilo letale della freccia precedette l’urlo di dolore dell’uomo. John cadde a terra, una mano corse ad agguantare la coscia dolorante. Uno strano bruciore iniziò a espandersi dal punto in cui il dardo lo aveva colpito.

< Dale figlio di un cane! Hai ucciso tuo cugino e ora vuoi uccidere anche me! Non sei un uomo, sei un dannato demone! >

Il bruciore all’arto si trasformò in formicolio. Dalla ferita sgorgava parecchio sangue. Quel dannato bastardo era stato così fortunato da colpire l’arteria femorale. John sapeva di avere poche speranze.

Chiuse gli occhi e strinse i denti. Cercò di alzarsi ma entrambe le gambe sembravano essere lontane dal corpo, insensibili al suo richiamo.

Un tonfo alle sue spalle lo costrinse a girarsi. La testa senza vita di Dale lo osservava con occhi vitrei. Un secondo urlo ancor più agghiacciante del primo uscì dalla gola del vecchio.

<Phaesseat’h omme, Hu’anam.>

La voce flebile come un sussurro proveniva dalla foresta. John la udì e si puntellò sui gomiti per vedere da chi provenisse. Un elfo si stagliò contro il cielo notturno.

< Chi sei? Cosa vuoi da me? Lasciami andare e ti darò tutto l’oro che ho. >

Ormai non sentiva più le gambe e anche le braccia iniziavano a cedere sotto il suo stesso peso. Capì il perché in quel momento. L’elfo si era avvicinato a lui. Stava chino proprio di fianco alla testa di Dale, ignorandola come si fa con una pietra o un tronco. In mano aveva una delle fialette di veleno paralizzante. L’elfo sussurrò nuovamente

< Saliva di Tarantola. Raro da queste parti. >

Infilò l’ampolla in una tasca sulla cintura

< Grazie anche per questo Hu’anam >

Diede un calcio alla testa mozzata di fianco a lui mandandola a cozzare contro il corpo del vecchio a terra. Si diresse dentro la grotta. L’elfo raccolse la pelle di tigre e la mise in un sacco e poi vide il cucciolo legato poco più in là.

L’unico occhio di Maelish fissò a lungo il piccolo animale. Quando ormai si era deciso ad andarsene i piccoli occhi gialli si aprirono, intercettando lo sguardo dell’arciere.

Si avvicinò ed estrasse il pugnale. Il felino tirò fuori i denti e soffiò. L’elfo ridette divertito. La lama brillò nel buio, tagliando la corda che legava il piccolo.

< Sei libero di andare ora >

Lo sguardo di quella tigre era una risposta più eloquente di mille parole

Il cucciolo si diresse verso l’ammasso di carne che un tempo era stata sua madre. Si mise a spingere col muso, cercando inutilmente di svegliarla.

Maelish afferrò la bestiola per la collottola

< Tall aeste imm pae’donne, tua madre è morta piccolo, per lei oggi è stato Phaesseat’h omme. Tempo di morire. >

Il cucciolo guardava fisso l’elfo. Senza scalciare. Senza protestare.

Venne rimessa a terra e diede un ultima zampata alla madre. Maelish uscì dalla grotta e il piccoletto lo seguì.

Fuori John urlava.

< Dannato elfo! Dannato elfo! Che gli dei ti maledicano! >

Ormai il veleno era entrato in circolo, anche le labbra iniziavano a subire la paralisi. Le parole uscivano sconnesse e traballanti dalle labbra rugose.

< Hu’anam, sempre così chiassosi, anche in punto di morte. >

La voce sempre simile a un sussurro era penetrante come una brezza gelida

< I-io non so-sono Huanam, d-d-devi es-essert-ti sbagliato. Lasciami a-andare! >

Un’altra risata melodiosa affrontò il gelo della notte

< Umani, così sciocchi anche in tarda età. Hu’anam non è un nome. Hu’anam vuol dire umano. Perciò John Vels di Arsin, non mi sono sbagliato. Sei l’ennesimo Hu’anam che finisce su un pezzo di carta come questo. >

Tirò fuori un foglio di pergamena con sopra un rozzo disegno che lo raffigurava. Sotto al disegno tre parole. Vivo o morto.

Maelish estrasse la lunga sciabola.

< Phaesseat’h omme, Hu’anam >

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