Silenzi Eloquenti di Carlos Martì Arìs

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Questo libro dell’architetto Carlos Martì Arìs è un percorso trasversale, un itinerario sincronico, lineare, articolato, ricco di rimandi in ogni direzione e settore dell’arte, un ipertesto di relazioni potenzialmente ampliabile all’infinito, perfettamente inserito all’interno del dibattito tra moderno e contemporaneo, di cui l’autore analizza un aspetto molto specifico, ma altrettanto significativo: il silenzio.

Costruisce un discorso fatto di tempo e di spazio attraverso l’analisi comparata di un gruppo ristretto di artisti del ventesimo secolo.

L’associazione di questi cinque nomi non è casuale.

Sceglie di parlare delle opere di uno scrittore argentino, Jorge Luis Borges, di un architetto tedesco, Mies van der Rohe, di un regista giapponese, Yasujiro Ozu, di un pittore russo-americano, Mark Rothko e di uno scultore basco, Jorge Oteiza, intrecciando la discussione con citazioni di filosofi, musicisti e poeti.

L’associazione di questi cinque nomi non è casuale, l’autore li estrapola da una cerchia di personaggi che, nel ventesimo secolo, sono stati in grado di interpretare l’ambigua realtà della loro epoca.

Martì Arìs vuole evidenziare come la letteratura, l’architettura, il cinema, la pittura e la scultura, discipline tanto diverse tra loro, abbiano le loro fondamenta nella medesima conoscenza umana.

Nell’opera di questi cinque maestri c’è, di fatto, un tratto comune: il loro rifiuto dell’arte come espressione dell’individualità personale a favore della creazione di un’opera capace di interpretare la realtà e ospitare le interpretazioni di coloro che la osservano.

Spazio e tempo si fondono per spiegare i temi compositivi.

La letteratura si scrive a partire dalla letteratura.

Borges

Queste sono le parole di Borges che si pone con occhio attento verso la letteratura del passato, lasciando nell’oblio gli autori. Interpretare la realtà attraverso la cultura è uno dei suoi temi principali.

Nei suoi testi crea dei labirinti mentali attraverso i quali l’uomo cerca di capire il mondo. Il labirinto simboleggia la cultura. Con la metafora “Borges vive dentro me”, identifica l’artista che concepisce la sua opera al di sopra dell’individualismo.

L’unica che ha valore perché non appartiene a nessuno, questo è il suo silenzio. L’opera deve mostrarsi allo spettatore per com’è, sradicata dall’emotività di chi l’ha creata.

 

 

il tempo nuovo è una realtà; esso esiste indipendentemente dal fatto che noi lo accettiamo o lo rifiutiamo. Ma esso non è né migliore né peggiore di qualsiasi altro tempo. Esso è semplicemente un dato di fatto […]. Decisivo sarà solo il modo in cui noi ci faremo valere in questa situazione. Solo a questo punto cominciano i problemi spirituali.

Mies van der Rohe

Mies van der Rohe usa, come Borges, i miti del passato spogliandoli del Zeitgeist proprio della loro epoca. Osserva la realtà che lo circonda, il progresso tecnico e i risultati dell’industrializzazione.

Giunge ad estrapolarne gli elementi della sua architettura, sottoponendoli ad un processo di sterilizzazione per porli in relazione fra loro.

Solo in questo modo possono dialogare con la realtà che li circonda. L’elementarietà e la complessità, sono le caratteristiche che rendono l’opera di Mies leggibile e trasparente.

Lo spettatore riesce a spingere il proprio sguardo oltre il limite fisico dell’opera, si crea un blocco temporale nel quale l’opera si rivela all’uomo nella sua essenzialità.

Ricerca, quella di Mies, fatta di rinunce, di omissioni, in favore di ciò che può sopravvivere nel tempo.

 

 

Vera novità è ciò che non invecchia, nonostante il passare del tempo.

La camelia contro il muschio del tempio, i riflessi violacei dei monti di Kyoto, una tazza di porcellana blu – questa improvvisa fioritura di pura bellezza nel cuore della passione effimera: è ​​questo non è qualcosa che tutti noi aspiriamo? E una cosa che, nella nostra civiltà occidentale, non sappiamo come raggiungere?

La contemplazione dell’eternità nel movimento stesso della vita.

Setsuko in Le Sorelle Munekata

Ozu, regista giapponese, nel film “L’autunno della famiglia Kohayagawa” ritrae un gruppo ristretto di persone durante le loro giornate, non interviene personalmente nelle riprese, vuole solo mostrare la gente nella loro vita quotidiana, nel loro spazio, nel loro silenzio. Riprese di morandiana memoria.

Oggetti inanimati, nature morte, assoluta assenza di personaggi. Piani vuoti, attraverso il silenzio delle immagini, creano un linguaggio ancora più profondo e crudo.

Con le sue inquadrature coglie l’istante per mostrarlo allo spettatore rendendolo partecipe. Nel silenzio gli oggetti parlano, nell’immobilità gli oggetti sono palpabili. In questo senso si sviluppa il concetto di anonimato di Ozu.

 

 

 

Non c’è nulla di meglio come un buon dipinto sul niente.

Mark Rothko

Rothko giunge all’astrazione attraverso un lungo percorso. Tele di grande formato, forme quadrangolari non definite, colori lucenti, combinazioni vibranti, crude, sgradevoli, lugubri.

Le sue opere vogliono commuovere, suscitare delle emozioni.

Rothko non si limita ai contorni della tela ma va oltre, riproduce la spazialità dalla quale lo spettatore è catturato. La curiosità si fonde con la materia; materia che tace ma tutto svela.

Rothko considera la sua opera come un essere vivente, capace di sopravvivere solo interagendo con il resto del mondo.

Silenzio inteso come rinuncia: Rothko si concede solo pochi elementi per comporre le sue tele. Le sue opere acquistano trascendenza, l’anima si eleva verso il silenzio.

 

 

 

 

Non posso camminare attraverso la periferia nella solitudine della notte senza pensare che la notte ci piace perché sopprime i dettagli al minimo, proprio come fa la nostra memoria.

Jorge Oteiza

Vuoto che si insinua nelle forme. Cilindro, cubo e sfera sono gli elementi scultorei di Oteiza. Li svuota, li corrode, li assottiglia, fa sì che il vuoto esterno s’impadronisca di loro penetrando fino ai limiti della scultura.

Ad ogni silenzio si associa un non silenzio che potrebbe essere incarnato dalle parole in letteratura, dalla materia in scultura e pittura, dagli elementi in architettura e dalle riprese nel cinema.

 

 

 

 

Quando ognuno di queste opere riesce a generare uno spazio di silenzio produce uno sguardo diverso nei confronti della realtà.

Si genera una visione contemplativa del mondo. La rinuncia ad un elemento, ad una porzione, arricchisce gli elementi presenti.

Ogni operazione è compiuta per ottenere qualcosa.

Ciò che stimola la lettura di questo libro, è il tema del silenzio rapportato ad artisti del movimento moderno che hanno concluso la loro esperienza nell’astrattismo.

L’Arìs parla del vuoto come condizione necessaria all’esistenza degli oggetti reali. Vuoto che rende percepibile le relazioni tra gli elementi. Nonostante questo chiaro ruolo, il vuoto è temuto dalla maggior parte degli architetti.

L’architettura va vissuta e meditata.

Lasciare uno spazio vuoto, un’apertura per respirare, per riflettere, per il silenzio suscita, ancora oggi, un sentimento d’inquietudine. L’architettura non è fine se stessa, è strettamente correlata a noi. L’architettura va vissuta e meditata.

A chi non infastidirebbe una persona che si pone con prepotenza, travolgendo l’interlocutore in un discorso senza pause e logorroico?

 

 

 

Biografia

Carlos è nato nel 1948 a Barcellona dove svolge attività professionale e didattica – dal 1976 è infatti professore di Composizione presso la Escuela de Arquitectura de Barcelona.

E’ stato vicedirettore della rivista 2C Construccione la Ciudad fin dalla sua fondazione nel 1972. Organizzatore del III SIAC (Seminario Internacional de Arquitectura Contemporanea), svoltosi a Barcellona nel 1980, ne ha curato la pubblicazione degli atti, con il titolo La manzana como idea de la ciudad (1982).

I suoi progetti, elaborati in collaborazione con l’architetto Antonio Armesto, sono stati pubblicati in numerose riviste spagnole e internazionali.

 

 

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