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SR-71: the Badass Aircraft – Le Origini 2

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Alla fine dello scorso articolo ci siamo salutati con un po’ di suspance: Chi si aggiudicherà il posticino nella storia dell’aviazione?

Siamo nel giugno 1959 e alla fine delle “selezioni” sul tavolo della giuria arrivano due bei pacchetti, uno firmato Convair con il materiale per il prototipo Kingfish e uno marchiato Lockheed contenente gli undici progetti Archangel.

Ma in quest’ultimo fascicolo, oltre ai documenti tecnici è allegato un curioso documento bonus.

 

 

La resa dei conti

Il documento in questione altro non è che il resoconto di uno studio extra commissionato da Johnson relativo al problema della RCS.

La RCS (Radar Cross Section) è la misura di quanto è individuabile un aereo dai radar. Maggiore è l’RCS, più facile è per i radar individuare quel particolare aereo.

 

I progressi della tecnologia radar avrebbero reso obsoleti tutti gli aerei “stealth”  per almeno cinque anni.

300px-Sigma_invader_RCSSulla base di tale studio l’ingegnere fa presente alla commissione come i progressi della tecnologia radar avrebbero reso obsoleti praticamente tutti gli aerei “stealth” che si fossero costruiti da allora per almeno cinque anni.

Di conseguenza la possibilità che un velivolo di medie dimensioni venisse avvistato tramite radar sarebbe stata sempre e comunque prossima al 100%, a prescindere dagli sforzi compiuti in progettazione.

Nonostante la notevole faccia tosta di Johnson nel cercare di giustificare il suo “fallimento progettuale”, la CIA si rende conto che c’è del vero nelle sue parole e che in fin dei conti il progetto dell’A-11 potrebbe per questo rivelarsi il più promettente.

L’agenzia, con una mossa un po’ a sorpresa, si rende disponibile a scendere a compromessi e comunica al team Lockheed di continuare con lo sviluppo degli Archangel, accettando un requisito di altitudine minore a fronte di una maggiore cura dell’RCS.

Con tali nuovi obiettivi la scadenza è posticipata al primo gennaio 1960 e viene coniato un nuovo nome in codice per il progetto: “OXCART”.

Johnson crea allora quello che poi diventerà la base di tutti i futuri “Blackbird”, il prototipo A-12.

 

 

 

Il nuovo prototipo Archangel-12

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L’ultimo esemplare deriva direttamente dall’A-11, dal quale eredita la fusoliera cilindrica e la forma generale, ma presenta svariate differenze rispetto al suo predecessore.

In primo luogo viene modificata la disposizione dei due motori turbojet J58, che vengono inseriti all’interno della struttura delle ali alla stessa altezza della fusoliera, per ridurre il profilo laterale dell’aereo.

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Vengono inoltre aggiunti lungo tutto il profilo della fusoliera anteriore i due rilievi laterali (“chines” in inglese)che diverranno una delle caratteristiche più distintive del velivolo e dei suoi successori.

La loro presenza andrà ad  aumentare considerevolmente la portanza ed in generale l’aerodinamicità e stabilità del velivolo in esercizio, oltre a permettere l’alloggiamento di un gran numero di apparecchiature.

Diversi accorgimenti vengono poi adottati per ridurre al minimo possibile la RCS del velivolo:

  • si cerca di mantenere la curvatura della fusoliera cilindrica e dei motori il più accentuata possibile
  • si sostituisce il singolo grande stabilizzatore centrale tipico degli aerei del tempo con due stabilizzatori laterali più piccoli e inclinati verso l’interno del velivolo
  • si ricoprono le giunture e gran parte delle zone più sensibili con pannelli di materiale radar-assorbente di nuova concezione.

La maggior parte del volume del mezzo è progettata per essere occupata da motori e serbatoi, lasciando il carico utile solo nel muso, dove è alloggiato il pilota e la varia strumentazione logistica e/o bellica.

Tre tipi di leghe di titanio per realizzare oltre il 90% della struttura.

Last but not the least il progetto di Johnson prevede l’utilizzo di tre tipi di leghe di titanio (materiale praticamente sconosciuto all’epoca) per realizzare oltre il 90% dell’intera struttura (avremo modo di analizzare più nel dettaglio questo miracolo della tecnica nei prossimi articoli).

Partendo da queste basi, il design dell’ A-12 verrà poi raffinato ed adattato nel corso degli anni, ma rimarrà la base comune per tutte le varianti dei futuri Blackbird.

 

 

 

La grande famiglia Oxcart

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Il prototipo A-12 riscuote da subito un grande successo, data la sua eleganza e versatilità di progetto e nel tempo ne verranno realizzati numerosi esemplari funzionanti.

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Tuttavia la strada per ottenere un ricognitore realmente efficace è ancora lunga e, utilizzando come base il funzionale telaio degli A-12, Johnson comincia a vagliare varie ipotesi ed a lavorare su vari progetti di modifica.

 

 

AF-12: Project Kedlock

Verso la fine del 1962 vede la luce una variante d’assalto del prototipo A-12, progettata per fungere da interceptor, armato con missili aria-aria e sofisticati sistemi di puntamento, poi ribattezzato YF-12A.

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Per poter alloggiare i sensori infrarosso e il radar del sistema di puntamento si rende necessaria la modifica del muso e dei rilievi laterali, andando ad intaccare la stabilità aerodinamica e rendendo necessario l’inserimento di uno stabilizzatore centrale ripiegabile posizionato sotto il ventre del mezzo.

Necessaria anche l’aggiunta di un secondo posto in cabina per il fire control officier, con conseguente allungamento della fusoliera.

Sono subito costruiti tre velivoli, il primo dei quali effettua il primo volo il 7 agosto 1963, che stabiliscono svariati record di velocità ed altitudine, oltre a rimanere ad oggi i più grandi intercettori mai realizzati.

 

 

 

MD-21: Project Tagboard

Agli inizi del 1962 Johnson crea un drone spinto da un singolo motore ramjet, capace di operare alle stesse velocità ed altitudini dell’ A-12. Pensa così di accoppiare il piccolo drone con l’aereo “madre” agganciandolo tramite un pilone centrale.

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Per la designazione Johnson sceglie nomi caratteristici, dato che il drone è chiamato D-21 (da daughter), l’ A-12 di supporto è denominato M-21 (da mother) e l’assieme è identificato dalla sigla MD-21.

L’idea alla base del progetto è quella di portare in quota il drone agganciato alla nave madre, accelerarlo fino a rendere possibile l’accensione del motore e poi sganciarlo per farlo terminare la missione in maniera autonoma e in incognito, data la sua quasi inesistente RCS.

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Le prime esercitazioni di sgancio portano ad un incidente fatale.

Vengono effettivamente costruiti 20 droni e due A-12 di supporto, ma le prime esercitazioni di sgancio (procedura parecchio macchinosa) portano ad un incidente fatale.

Infatti il 31 luglio del 1966 al momento dello sgancio il motore del drone non si accende correttamente, facendolo crollare sulla parte superiore della nave madre, portando alla distruzione del mezzo. Nonostante entrambi i piloti si siano eiettati con successo uno di loro morirà per annegamento prima dell’arrivo dei soccorsi, a causa di un malfunzionamento della tuta.

Lo stesso Johnson dichiara troppo rischioso il progetto e lo fa chiudere, modificando i rimanenti droni per essere sganciati da un ben più robusto e pratico B52-H.

 

 

RB-12: il Bombardiere

Nel settembre 1960 Johnson comincia a progettare una variante del suo prototipo che funga da bombardiere tattico.

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Si stima che fino a quattro ordigni di 400 libbre, oppure una singola bomba più grossa, possano trovare posto nella fusoliera senza grandi modifiche strutturali ed aerodinamiche.

Il tutto era pensato per poter trasportare all’occorrenza “in incognito” piccole testate nucleari in territorio nemico.

Il progetto viene subito accantonato per non distogliere fondi dallo sviluppo del nuovo bombardiere “ufficiale” XB-70.

 

 

 

R-12: The Universal Airplane

Nel settembre 1962 l’instancabile Johnson pensa di semplificarsi la vita sviluppando parallelamente alle varie declinazioni dell’A-12 una versione che lui definisce “common market version” del suo prototipo, ribattezzata R-12.

Si tratta di una struttura generica, pensata per poter essere convertita in pochissimo tempo nella versione desiderata dal committente, a scelta fra ricognitore, intercettore o d’attacco, per poter grandemente semplifcare il processo produttivo.

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Ne vengono ordinati subito sei esemplari, con un’ ulteriore prenotazione di altri 24.

L’idea viene talmente gradita dai vertici militari che ne vengono ordinati subito sei esemplari, con una ulteriore prenotazione di altri 24.

Tuttavia il successo dell’ultima idea di Johnson porta alla cancellazione dello sviluppo dell’A-12, dato che la Difesa ritiene inutile continuare a finanziare due progetti simili con finalità praticamente identiche.

La nuova variante, per molti versi simile al YF-12, è caratterizzata da parecchie differenze rispetto al suo predecessore, come una fusoliera più lunga, una seconda postazione in cabina, rilievi laterali molto più marcati e vari cambiamenti interni nella disposizione.

 

 

 

 

RS-12 / SR-71: L’avvento del Blackbird

Gli ufficiali dell’ USAF si mostrano da subito molto interessati in particolare alla versione da ricognizione del neonato R-12 (codificata come RS-12)  e decidono di cominciarne subito la produzione partendo dai telai prenotati, stanziando nuovi fondi e ribattezzando al contempo il velivolo  con il codice di “SR-71“.

Fun Fact: il soprannome “Blackbird” viene coniato qualche tempo dopo, quando per ridurre i problemi di surriscaldamento del telaio e della sua emissività si decide di dipingere l’intera flotta di nero.

 

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La lunga gestazione del jet più veloce del mondo è finalmente terminata.

 

 

 

 

La storia del mostro nero

A partire dal 1965 inizia la produzione in serie dei nuovi modelli di SR-71, che andranno ad affiancarsi agli esemplari delle generazioni precedenti già esistenti. Tirando le somme, in totale l’USAF ha avuto a disposizione negli anni:

  • A-12 : 15 esemplari
  • YF-12A :  3 esemplari
  • SR-71A : 28 esemplari (versione “comune”)
  • SR-71B : 2 esemplari (versione da addestramento)
  • SR-71C : 1 esemplare (versione da addestramento modificata)

La storia dell’ SR-71C è un po’ particolare, dato che è nato come rimpiazzo per uno dei due SR-71B andato perso in un incidente.
Per risparmiare però sui costi, si è deciso di assemblarlo unendo la parte anteriore della fusoliera di un YF-12A (unica parte sopravvissuta ad un incidente in atterraggio) alla parte posteriore di uno dei modelli “mockup” di SR-71, ovvero un prototipo realizzato per i soli test statici.

La costruzione improvvisata del mezzo ne ha compromesso grandemente la stabilità e la manovrabilità, procurandogli il soprannome di  “the Bastard” fra i piloti.

Fun Fact: nel novero non compare un esemplare di SR-71A “in incognito”. Nel 1971 infatti uno dei due YF-12A in dotazione alla NASA (come vedremo alcuni dei super mezzi sono stati “regalati” all’agenzia spaziale) è distrutto in un incidente non fatale e, in accordo col governo americano, viene rimpiazzato con un esemplare dei nuovi Blackbird. Per ovvi motivi di segretezza lo si spaccia per un modello modificato di YF-12, ribattezzandolo YF-12C.

 

 

La flotta di SR-71 a disposizione dell’esercito americano rimane in servizio dal 1967 fino alla sospensione dei fondi ed alla conseguente dismissione avvenuta a cavallo tra la fine del 1989 ed i primi mesi del 1990, con la cerimonia ufficiale tenutasi il 26 gennaio 1990 nella base di Beale.

Fun Fact: per quanto riguarda il vil denaro, al tempo della loro produzione il costo di ogni singolo esemplare di Blackbird si aggirava attorno ai 35 milioni di dollari.
Inoltre il costo di mantenimento dell’intera flotta operativa di SR-71 negli ultimi anni di vita del progetto, ammontava a circa 250 milioni l’anno, secondo una stima dell’ultimo comandante in carica, il Lt. Col. Rod Dickman.

 

 

Nel 1994 il Congresso decide di stanziare 100 milioni di dollari per riattivare tre SR-71A, che rientrano in servizio fino all’ottobre del 1998, anno in cui viene deciso dal presidente Clinton di tagliare in maniera definitiva i fondi al progetto.

Finisce così uno dei progetti più ambiziosi e gloriosi dell’intera storia dell’aviazione.

L’ultimo volo dimostrativo di un Blackbird risale al 9 ottobre 1999 e da allora tutti gli esemplari superstiti riposano in vari musei, a eterno monumento della grandezza dei loro creatori.

 

 

 

Il ruolo della NASA

Come tutti possiamo immaginare, la NASA è stata coinvolta nel progetto Oxcart fin dai suoi albori, fornendo mezzi, conoscenze e risorse al team degli Skunk Works.

Come sorta di “pagamento” nei confronti dell’organizzazione, il governo americano ha concesso ai ricercatori di utilizzare alcuni velivoli come piattaforma di ricerca tecnologica.

A questo scopo vengono forniti nel 1969 due modelli di YF-12 e nel 1990, dopo il cancellamento ufficiale del progetto, due modelli di SR-71A assieme all’unico trainer SR-71B rimasto.

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Da i vari esperimenti condotti con questi velivoli, è stato possibile raccogliere una enorme mole di dati, che hanno permesso non solo di raffinare e migliorare le performance operative degli aerei stessi, ma anche di approfondire o validare teorie già esistenti, nel campo sia dell’ingegneria che dell’aerodinamica/termodinamica.

Fun Fact: a questo covo di appassionati di tecnologia può forse interessare il fatto che gli esperimenti di volo condotti sui YF-12 hanno permesso di perfezionare e validare uno dei primi programmi di simulazione aerodinamica sviluppato dalla NASA di Langley, il FATOLA (Flexible Aircraft Takeoff and Landing Analysis).

 

Informazioni sono state raccolte riguardo alla resistenza strutturale dei materiali in condizioni di sollecitazione termomeccanica estrema, sui sistemi di propulsione a getto, sull’aerodinamica in regime supersonico, sulle condizioni di scambio termico a velocità estreme e la lista potrebbe continuare molto a lungo…

Buona parte dei dati e delle simulazioni si sono rivelati poi fondamentali per la realizzazione, fra gli altri progetti, dello Space Shuttle.

 

Conclusioni

Nonostante si tratti di un progetto strettamente militare, con tutte le possibili critiche sui reali scopi e sui fondi impiegati, rimane uno dei simboli più potenti della capacità umana di superare i propri limiti.

Al di là del grande valore tattico e dei numerosi record infranti (di cui si potrà parlare nei prossimi articoli), uno dei più grandi meriti di questa famiglia di veicoli risiede proprio nell’aver permesso di spostare un bel po’ in avanti l’asticella del progresso scientifico, grazie alla tenacia ed alla passione di persone come Kelly Johnson e i suoi colleghi di Skunk Works e NASA.

Se avrete ancora voglia di proseguire questo viaggio, nel prossimo articolo andremo a vedere un po’ più nel dettaglio come effettivamente sono stati assemblate queste meraviglie e quanti e quali problemi sono stati affrontati.

Stay tuned!

 

 

 

Fonti:

 

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