Gli spazzini

zombie

Maurice si puliva le unghie con la punta di un grosso coltello da caccia. Stava seduto con le spalle poggiate al parapetto di cemento e ogni tanto alzava lo sguardo verso il plumbeo cielo di quel primo pomeriggio di un giorno qualsiasi di novembre.

Non faceva poi tanto freddo, ma minacciava pioggia, e sarebbe stato molto seccante, pensò. A pochi passi da lui Paul scrutava il mondo attraverso l’ottica del suo PSG1 da cecchino con silenziatore incorporato.

“Invece di star li a cazzeggiare, trovami un bersaglio…” disse Paul, senza staccarsi dal fucile. Maurice si mise a sedere vicino a lui su uno sgabello e prese un binocolo, appoggiandosi al muretto.

Erano sul tetto di un edificio di cinque piani, e dominavano la zona circostante. Una strada con alberi spogli, a destra una piazza con una statua in mezzo, sulla sinistra le rotaie di una ferrovia, di fronte case più basse e un paio di traverse che si immettevano nel viale principale.

“Lato ovest della piazza, si muove verso di noi. Duecento metri e spicci.” disse Maurice.

Il proiettile gli aprì il cranio come fosse stato un cocomero maturo lasciato cadere dall’alto.

“Visto…” rispose Paul, che prese la mira e sparò. Lo zombi una volta doveva essere stato un ragazzo coreano o cinese, e addosso aveva ancora la divisa di un fastfood.

Il proiettile gli aprì il cranio come fosse stato un cocomero maturo lasciato cadere dall’alto.

“Altri due bersagli lungo i binari, quattrocento metri e forse più.”
“Non li vedo, dammi un riferimento.”
“Sono quasi al passaggio a livello. Sbrigati altrimenti vanno fuori tiro.”
“Visti…”

Altri due spari, altre due teste di zombi spaccate. Paul ricaricò l’arma, mentre Maurice continuava a scrutare i dintorni.

Per circa venti minuti non si vide niente, così passò dalla strada agli edifici. A circa un chilometro c’era un palazzo di dodici piani che una volta aveva ospitato degli studi televisivi.

Sul tetto c’era ancora parte dell’insegna. Non era raro trovarne anche lì dentro, gente morsa che si barricava in qualche casa o in un ufficio e poi non ne veniva più fuori.

Quei cosi erano forti, ma non brillavano certo per intelligenza, e così finivano per girare a vuoto per mesi o anni, finché qualcuno di loro andava a ripulire la zona.

Non sempre si era fortunati, e aveva già dato un paio di occhiate a quel posto da lontano. Ma stavolta vide un movimento al settimo piano, e lo segnalò a Paul.

“No, non spreco colpi. Troppo distante, dovrebbe star fermo e rischierei comunque di mancarlo. Più tardi ci mandiamo i segugi se già non hanno setacciato il palazzo.” disse il cecchino, che da solo invece trovò un altro bersaglio nel cortile di una villetta. Un bambino di non più di dieci anni, ma Paul si faceva ben pochi scrupoli.

Non ricordava come fosse il mondo prima dell’apocalisse, era un bambino di 5 o 6 anni all’epoca.

Fare lo spazzino a Maurice non dispiaceva. Non ricordava come fosse il mondo prima dell’apocalisse, era un bambino di 5 o 6 anni all’epoca.

Ogni tanto riaffioravano frammenti, immagini. Si rammentava di aver corso tanto e di essersi nascosto. Di aver più volte rischiato di essere morso, ma di essersela cavata sempre, grazie all’aiuto di altre persone, adesso però tutte morte o che aveva perso di vista.

Dieci anni in fuga, poi l’arrivo in una delle zone sicure, o decontaminate come le chiamava qualcuno. Anche se era impossibile essere decontaminati da quella cosa. Si stava ricominciando, in un modo o nell’altro si stava ripartendo, in pochi, ma con coerenza e spirito di sacrificio.

Adesso esisteva una federazione di città sicure, e il corpo dei cosiddetti “spazzini”, che se ne andavano in giro a ripulire altre zone. Perché bisognava farlo, bisognava poter andare in giro senza problemi. E così piccoli gruppi di uomini e donne, armati fino ai denti, venivano lasciati per qualche giorno in un centro abitato, ammazzavano quanti più zombi possibile e poi venivano raccolti nuovamente. In genere si arrivava in elicottero e si atterrava in una zona isolata, perché il rumore attirava quei cosi e già era un rischio così.

La prassi voleva che il gruppo scegliesse come base un luogo sopraelevato, ad esempio il tetto di un edificio, per dominare la zona. Quattro o cinque persone, in genere un cecchino e un osservatore più un paio di segugi, che andavano in giro a ripulire casa per casa. I silenziatori erano d’obbligo, per non farsi notare, meglio ammazzarne pochi alla volta e con metodo, che rischiare di trovarsene addosso centinaia senza possibilità di fuga.

Spara e muoviti, muoviti sempre, avevano insegnato a Maurice. Anche lui faceva il segugio in genere, ma a turno, per riposarsi, si faceva da osservatore al cecchino.

“Bersaglio, sotto di noi…”, disse a Paul.
“Non spreco colpi, è troppo vicino. Scendi e fallo fuori tu”.

Maurice scese le scale, il palazzo dove si trovavano era stato ovviamente ripulito e l’unico ingresso sbarrato. Avevano piazzato una scala retrattile al balcone del primo piano. Si trovò in strada e per un momento si sentì solo.

Guardò in alto e Paul gli fece un gesto come per dire che controllava la situazione. Si mise la maschera antigas, al livello del suolo c’erano fin troppi cadaveri e l’odore, per quanto ci si potesse abituare, era nauseabondo.

Un walker, un colpo. Gli avevano insegnato anche questo, mai sprecare munizioni.

Tirò fuori la Glock 9mm e si avvicinò allo zombie. Un walker, un colpo. Gli avevano insegnato anche questo, mai sprecare munizioni. Nell’altra mano aveva il coltello da caccia, e a meno di dieci passi di distanza non aveva ancora deciso come farlo fuori. Il tizio aveva ancora brandelli di vestiti addosso, quello che doveva essere stato un elegante completo.

Era affamato e si capiva, infatti vide quasi subito Maurice. Lui però non si fece sorprendere, girò attorno allo zombi e con una mossa fulminea gli diede un calcio alle caviglie, facendolo cadere faccia a terra. Gli mise uno stivale sulla schiena e gli sparò un colpo nella nuca.

“Alla tua sinistra.” La voce veniva dall’auricolare nel suo orecchio, era Paul. “Due si avvicinano dalla piazza. Ci penso io?”
“No lascia stare. Non sprecare munizioni e guardami le spalle.”
“Ricevuto cioccolattino.”
“Razzista di merda…”
“Ahahahahahahahah!”
Maurice si avvicinò a grandi passi agli altri due, e li fece fuori a distanza. Poi si guardò intorno e ne vide un altro, di quelli che strisciavano a terra, dietro una macchina. Gli passò alle spalle e gli infilò il coltello in una tempia.
“Movimento da nord. Non sparare, sono i nostri.”, lo avvertì Paul.

Si ritrovarono tutti sul tetto, Maurice, Paul e i due segugi Felipe e Gretchen. Si collegarono con il campo base, per il rapporto giornaliero. Come sempre era Paul a parlare, essendo il caposquadra.

“Base, qui pattuglia spazzini Delta Bravo Quattro Due Zero. Mi ricevete? Passo.”
“Affermativo Quattro Due Zero. Rapporto sulla giornata?”
“Dall’ultimo collegamento eliminati 68 bersagli. Totale dal nostro arrivo 215. Una giornata proficua!”
“Bene Quattro Due Zero. Quante munizioni e razioni ancora?”
“Munizioni in abbondanza, razioni per circa 48 ore approssimativamente.”
“Allora recupero preventivo tra 24 ore Quattro Due Zero. Griglia venticinque, punto di riferimento 7, è un campo sportivo. L’elicottero atterrerà nell’attiguo parcheggio.”
“Ricevuto base, aggiornamento tra 12 ore come da programma. Chiudo.”

“E’ un posto di merda!”

“E’ un posto di merda!” disse ad alta voce Felipe.
“Un posto vale l’altro.” Rispose Paul, che si era rimesso al suo fucile.
“No, ha ragione Felipe.” Intervenne Gretchen “Ci siamo passati prima. C’è alta concentrazione di bersagli.”
“Allora vorrà dire che domani mattina andremo lì a ripulire la zona.”
“No, andiamoci stanotte invece!” propose Maurice. Mangiarono una razione e poi decisero di accettare la sua idea.

Si stava facendo sera, e in genere con l’oscurità ci si divertiva un po’. Piazzavano in un punto strategico un richiamo rumoroso, che chiamavano “sveglia-lo-zombie”, e poi massacravano i bersagli dai balconi o da altre postazioni sopraelevate, armati anche di visori notturni.

Non l’avevano fatto le sere precedenti, perché ne avevano portato uno solo di questi aggeggi. Era una piccola scatola di plastica, un cubo di 30 centimetri di lato, che riproduceva in genere un brano musicale o dei richiami di animali, mucche o cavalli, a tutto volume, roba che piaceva molto agli zombi.

Il problema è che spesso la scatoletta veniva pestata e danneggiata irrimediabilmente, quindi venivano usate con parsimonia. Ma utilizzandola si potevano far fuori bersagli a decine in pochi minuti.

Fecero irruzione del piccolo stadio di baseball da una porta laterale. Le strade intorno erano abbastanza trafficate, e dovettero correre in fretta per evitare di farsi circondare. Aprirono tutte le porte dello stadio e si disposero sulle gradinate, con Paul che si piazzò nella postazione della radio locale.

Gretchen, nonostante fosse una mingherlina, era quella che correva più in fretta e spesso veniva mandata a fare la “lepre”. La ragazza lasciò il grosso dell’equipaggiamento in cima a una rampa di scale, poi prese lo “sveglia-lo-zombie” e si fece un giro intorno allo stadio, ovviamente di corsa. Era molto rischioso e lo sapeva, ma non sarebbero stati lì se non avessero avuto a mente l’ipotesi di restarci per sempre.

Accese la scatoletta, che iniziò a suonare “Jumpin’ Jack Flash” degli Stones a un volume assurdo, e prese a correre.

Gretchen uscì dal lato opposto al diamante, dove non c’erano tribune ma un recinto metallico. Accese la scatoletta, che iniziò a suonare “Jumpin’ Jack Flash” degli Stones a un volume assurdo, e prese a correre.

Maurice canticchiava, aveva sentito altre volte quella canzone da un vecchio disco in vinile che suo nonno gli faceva ascoltare quando era bambino.

Si ricordava qualche parola qui e lì, e mentre provava ad andare a ritmo si sistemava visore notturno e munizioni.

Gretchen ci mise quattro minuti interi a fare il giro dell’impianto, nell’assordante frastuono del brano musicale. Li aveva vicini, molto vicini, ma correva eccome la ragazza.

“Copritela!” disse Paul tramite la ricetrasmittente. “Sapete quello che dovete fare. Rock ‘n’ Roll!”

Si calarono il visore notturno e, mentre Paul già abbatteva i primi bersagli che entravano dal cancello della recinzione, Gretchen mollava lo “sveglia-lo-zombi” sopra la seconda base. Maurice prese la mira col suo M16A4 e iniziò a far saltare teste. Erano decine, centinaia, e iniziarono a farsi intorno al richiamo, a urtarlo, a spostarlo.

“Felipe, occupati di quelli che si avvicinano troppo alle gradinate.” Ordinò Paul. “Se qualcuno ci si fa vicino avvertici!”
“Ricevuto!”

Attraverso il suo visore, gli zombi apparivano verdastri, come tutto il resto, e ancora più orribili. Il massacro durò un paio d’ore. Erano stati fortunati, perché la scatola aveva continuato a suonare, e i morti viventi avevano continuato a presentarsi.

Ce ne erano talmente tanti a terra che quelli che arrivavano ci inciampavano sopra, ed era ancora più facile colpirli. All’alba Felipe e Gretchen fecero un giro attorno allo stadio, solo qualche walker isolato, dovevano aver ripulito il grosso della zona. Erano però quasi senza munizioni, e non vedevano l’ora di levarsi di lì.

Maurice stava seduto in una delle panchine, ad osservare lo spettacolo. Ne dovevano aver fatti fuori almeno altri 300, e forse di più. Paul girava con cautela tra i mucchi di zombi, e ogni tanto sparava un colpo.

Tornarono i due segugi, che segnalarono presenza minima, pressoché nulla, nelle strade circostanti. L’area poteva essere considerata ripulita al 90%, ma sarebbe occorso un setacciamento casa per casa.

Città per città, si proseguiva con metodo nel rendere il mondo un posto nuovamente vivibile. Forse ci sarebbero voluti centinaia d’anni, ma creare sacche di sicurezza sempre più grandi era indispensabile. Di lì a un paio d’anni quella cittadina, anche grazie al loro rischioso lavoro, sarebbe stata nuovamente abitabile. Il più era fatto.

L’elicottero, uno Huey dalla vernice tutta scrostata, fu puntuale, arrivando quasi al tramonto. Salirono tutti a bordo stanchi morti, con una voglia matta di una doccia, un pasto caldo e un letto morbido. Mentre sorvolavano la periferia, Felipe gridò:

“Cristo santo! Guardate lì!” e indicò un campo. C’era un cane, un grosso meticcio marrone, che correva a destra e sinistra, cercando di sfuggire agli zombi.
“Ma come cazzo avrà fatto a sopravvivere!”
“Fai un giro!” disse Paul al pilota.

Passando a bassa quota tutti notarono quello che speravano non fosse già successo: il cane era stato già morso, e zoppicava vistosamente. L’elicottero non poteva atterrare, il terreno era troppo sconnesso, così iniziarono a sparare agli zombi, sprecando molti colpi.

Alla fine erano rimasti senza munizioni, tranne Paul, che aveva ancora due colpi. Ed erano rimasti in piedi un walker e il cane, che ormai arrancava a fatica. Maurice guardò Paul, senza dire una parola, ma sapendo che non avrebbe accettato un classico “non spreco colpi” da parte del suo caposquadra.

E Paul lo sapeva bene che quel nero, per quanto sopportasse a fatica le persone di colore, anche se dopo l’apocalisse aveva poco senso, aveva pienamente ragione.

Chiese al pilota di abbassarsi e di tenere l’elicottero il più fermo possibile, prese la mira col suo PSG1 e fece fuori lo zombi. Il cane si era fermato in mezzo al prato, la lingua penzoloni, era sfinito e sarebbe durato poco. Mentre lui puntava il cane, Gretchen si girò dall’altro lato, Felipe si asciugava le lacrime e Maurice gli mise una mano sulla spalla, perché si accorse che il suo caposquadra stava tremando. Disse:

“Anch’io avrei voluto portarlo con noi.”

Mentre Paul inquadrava la povera bestia nel mirino chiuse gli occhi per un istante. Da dove veniva? Come aveva fatto a sopravvivere tutto questo tempo? Era con delle persone? Erano ancora vive? Erano domande che sarebbero rimaste per sempre senza risposta.

Poi riaprì gli occhi, pose fine alla sua sofferenza e col cuore in gola volarono verso casa.

 

 

Questo racconto è stato pubblicato originariamente sul blog personale dell’autore.

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