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L’Isola delle Rose: tra utopia e opportunismo

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Siamo negli anni sessanta, nei “favolosi anni sessanta” direbbe Ascanio Celestini. Anni in cui il confine tra realtà e utopia è ancora oggi oggetto di discussione.

C’è chi odia questo periodo, come se per la storia non significasse nulla. Poi c’è chi lo ama ed è invece convinto che la storia, dopo i favolosi anni sessanta, non sia più stata la stessa.

Vi voglio parlare di un uomo, di un ingegnere, che non sappiamo da che parte stia: sappiamo però che si chiama Giorgio Rosa e che in quel periodo, in quei favolosi anni sessanta, è sulla bocca di tutti.

 

 

L’insospettabile

giorgiorosaGiorgio Rosa nasce a Bologna nel 1925. Nel 1943, appena maggiorenne e quando una scelta non può più essere rimandata, si schiera con i repubblichini. È chiamato al servizio militare e in quei tempi l’alternativa è una soltanto: la clandestinità.

Non ci è dato conoscerne le motivazioni ma sappiamo oggi, direttamente dalle sue parole, della delusione che consegue quella scelta.

Fatto che porterà Giorgio Rosa a dichiararsi apolitico e a coltivare una certa avversione verso lo Stato Italiano.

 

 

 

Il progetto

isola-delle-rose-2-150x150La guerra finisce e l’Italia, o forse dovrei dire il mondo occidentale, vive il famoso, ricchissimo “secondo dopoguerra”.

È proprio in questi anni che Giorgio, ormai quarantenne, ha pronta la contromossa che sogna da una vita: Il progetto è ambizioso: creare un’ isola artificiale dalla base di 400 metri quadri in pieno Adriatico, 500 metri oltre le acque territoriali italiane.

L’Isola delle Rose è la risposta dell’ingegnere ad uno Stato che, negli anni, continua a tradirlo e deluderlo.

Ma l’idea di base è anche (se non soprattutto) di carattere commerciale: la Riviera Romagnola è in forte boom e sta velocemente diventando la meta turistica per eccellenza di tutti gli italiani.

Così intorno al 1965 partono i lavori di realizzazione senza badare molto ai permessi e il 20 agosto del 1967 l’isola viene aperta al pubblico.

Ma sotto quale voce cataloghiamo questa creazione?

Stiamo parlando di utopia o di opportunismo, di rivoluzione o di paradiso fiscale?

La risposta ancora oggi non c’è, ma questa piattaforma al largo di Rimini, in quella striscia di mare che non parla nè l’italiano nè il croato, è entrata nell’ immaginario collettivo come una delle più grandi chimere che i sessantottini abbiano mai toccato con mano.

 

 

 

La nazione

Il primo maggio del ‘68 la neo eretta isola si autoproclama nazione.

Nasce la Repubblica Esperantista dell’ Isola delle Rose

O meglio,

Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj.

220px-Rose_Island_CoA.svgIl nome non è solo un tributo al fondatore, l’ingegner Rosa.
È anche un augurio: su quell’isola artificiale in mezzo al mar di nessuno un giorno fioriranno rose. Come si può intuire dal nome, la Repubblica ha una lingua propria, l’Esperanto appunto.

A questa si aggiungono dei francobolli e a breve, si spera, una moneta: il Mill, scambiato al pari della Lira.

Sì, una moneta:

Si è mai vista una nazione senza una propria valuta?

Per ammissione stessa del fondatore e Presidente, la scelta dell’Esperanto è stata una provocazione:

Ha reso più difficile e macchinosa la stesura dei documenti burocratici ma separarsi dall’italiano è stata una necessità per dare l’idea di indipendenza che l’isola artificiale insegue. La superficie è, come detto, di 400 metri quadri distribuiti su un singolo piano.

insulodelarozojMa in cantiere ci sono altri 4 livelli in modo tale da affiancare al porto e all’ufficio postale già esistenti negozi, ristoranti, distributori di carburanti e uffici.

E perchè no, un domani altre isole! Così da costruire una vera nazione sulle acque come si vedrà qualche decennio dopo nel film “Waterworld”.

Così la micronazione comincia a incuriosire quel fantastico mondo, fatto di suoni e di colori, che risponde al nome di cultura hippie.

Un mondo fatto di libertà costruite su vecchi tabù, di capelloni dalle strampalate teorie sociali o ancora di gente che vuole fondere Gesù a Buddha, passando per Francesco d’Assisi e Gandhi.

Insomma, un mondo che ha bisogno della libertà come dell’aria che respira.

Dove non arrivano i mezzi di informazione arriva il passaparola e l’idea di Rosa comincia ad essere vincente: gli sbarchi sulla piattaforma si moltiplicano e il piccolo Bar presente sull’isola ha di che lavorare.

 

 

 

Un bel gioco che dura poco

Inutile dire che le reazioni, in terra ferma, non sono entusiaste. Il governo italiano, da sempre contrario a questa costruzione, usa il pugno di ferro e 55 giorni dopo la proclamazione di indipendenza mette le cose in chiaro.

Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia sbarcano sulla piccola isola e pongono la parola fine al sogno.

Vietano gli attracchi e, senza nessun atto di violenza, impediscono al guardiano di lasciare l’isola. Ironicamente, a questo sbarco, qualche anno dopo verrà dato il nome di “Guerra delle tre rose” dai fiori presenti nella stemma ufficiale dell’isola.

È l’inizio della fine: poco tempo dopo l’isola viene distrutta con dell’esplosivo e successivamente sarà una mareggiata a inabissarla completamente.

Ma perché tanta determinazione nell’intervento? Le teorie sono molteplici ma a mio parere i motivi sono stati due:

  • il primo è quello legato alla sovranità (inter)nazionale. Se è vero infatti che l’Isola delle Rose era in acque internazionali, è vero anche il fatto che era nata quasi per provocazione allo Stato italiano. Il peso politico quasi nullo della micronazione ha fatto il resto, e questa è stata fagocitata dal vicino. Che era grosso e incazzato.
  • Secondariamente ha pesato la minaccia sovietica (eh si cari miei, ve li beccate anche ‘sto giro i bolscevichi). Tanto che si vociferava, in quegli anni, che attorno alla piattaforma ci fossero sommergibili russi.
    Fantapolitica dite? Nel caso dei sommergibili indubbiamente sì. Ma certamente l’Italia di allora era territorio di confine tra i blocchi sovietici e statunitensi. E la guerra fredda è stato un conflitto imperniato su questi territori: Cuba e Turchia vi dicono niente?

Insomma, pensiamo all’ipotesi di una piccola repubblica indipendente, a 500 metri dalle acque italiane, sotto il controllo sovietico.

Forse è meglio intervenire prima che sia troppo tardi!

 

 

 

O la si ama, o la si odia.

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Come già detto in precedenza, la piccola repubblica esperantista è piuttosto controversa: c’è chi la chiama sogno e chi le contesta di essere una mera operazione economica. A chi la considera una bandiera di libertà altri rispondono che, semplicemente, è stata una trovata fiscale di un fascista mai pentito.

Personalmente, conoscendo storie come questa, storie che quando le leggi ti viene quasi la pelle d’oca, la mia parte sognante prende il sopravvento.

L’isola delle Rose è ancora oggi l’esempio più concreto e rappresentativo di un periodo storico, quello del sessantotto, che non ha mai smesso di affascinarmi.

Così piccola e così rapida nella sua genesi, questa nazione rappresenta tutto quello che è stato il sessantotto dalla nascita alla fine.
Una fine che forse, in questo caso, era già scritta nel nome:

Un isola che, come tutte le più belle cose, visse un solo giorno come le rose.

 

Un po’ di inutili curiosità:

  • Walter Veltroni ha scritto un libro romanzando la storia dell’isola.
  • I pochi francobolli emessi sono ricercatissimi tra i collezionisti.
  • Il Mill, se ve lo state chiedendo, non è mai stato coniato.
  • Oggi è ancora possibile visitare i resti dell’isola ma solo immergendosi.
  • Sulla Lega si è già parlato di una cosa simile qui
  • Waterworld fu un fiasco clamoroso.
  • I sovietici c’entrano sempre.

 

 

 

Per approfondire:

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