Hotel Chevalier, Stanza 749

hotelchevalier

Parigi, fa freddo.

Indosso un lungo cappotto nero e giro senza meta per le strade della città delle luci.
Entro in un locale e mi siedo al bancone, il barista deve essere sulla ventina, ha uno sguardo vivace e i capelli raccolti in una lunga coda. Mi si avvicina sorridendo:
– Cosa le posso servire? –
– Whisky liscio grazie –
– Ha una marca particolare in mente? –
Normalmente lascerei scegliere al barista ma stasera sono nostalgico, il mio primo whisky è stato il caro e vecchio Jack Daniel’s, ero ancora giovane e inesperto ma mi aprì un mondo. Con Jack le serate scivolavano via, l’imbarazzo e la sensazione di essere perennemente un’estraneo lasciavano il posto a una sicurezza immotivata… Immotivata ma pur sempre una sicurezza.
– Jack Daniel’s direi –
– Arriva subito – mi dice prendendo la bottiglia, e mentre versa il whisky nel bicchiere mi chiede incuriosito:
– È qui per lavoro signore? –
– Non c’è bisogno che mi chiami signore – Gli dico con un sorriso, aggiungendo poi:
– Ho solo ventotto anni, comunque sì, ho appena tenuto una conferenza alla Sorbonne.
Mi è sempre piaciuto dare sfoggio della mia competenza ma odiavo le conferenze in certe università. Ricchi figli di papà che affollano aule che non meritano e nelle quali non vogliono stare. Professori emeriti che si attaccano alla cattedra con le unghie, i quali piuttosto che motivare e dimostrare le loro affermazioni si limitano a scrollare le spalle citando un qualche luminare della scienza. Ipse Dixit. Allora deve per forza essere giusto.
Geniale.
Viaggiare però mi piace, non tanto per incontrare persone nuove quanto per le città. Ogni città ha una vita propria e le trovo molto più interessanti delle vite dei piccoli uomini che le abitano.
– Quindi sei un professore? –
– Diciamo che sono più uno scopritore, lavoro nel campo della ricerca, faccio Fisica. – rispondo mentre mi porto alla bocca il bicchiere di whisky.
– Deve essere un campo interessante – ribatte lui.
Fuori inizia a piovere, una ragazza dai lunghi capelli neri entra di fretta nel bar per non bagnarsi, mi si siede accanto e ordina una caipiroska alla fragola. Scontata. Il barista prepara il drink con maestria e le passa il bicchiere, estasiato dalla sua bellezza.
Le lunghe dita bianche di lei afferrano il collo del bicchiere con eleganza, beve un piccolo sorso dal drink e si sistema meglio sullo sgabello lucido. Le cade il portafoglio, lo raccolgo e glielo porgo.
– Grazie –
– Di nulla –
Ha una voce armoniosa in cui mi sembra di riconoscere qualcosa di familiare, ma non ricordo cosa.
– Ci conosciamo? – mi chiede voltandosi verso di me con sguardo inquisitorio e finalmente riesco a vedere il suo volto.
Erika Marthens. È bellissima. Come sempre. Ora ricordo dove ho sentito la sua voce, ero ancora alle superiori quando la sua chioma fulva catturò la mia attenzione; era di un rosso particolare, non troppo scuro e leggermente tendente all’arancione. Non era un normale rosso, era il suo di rosso. Assurdo incontrarla di nuovo dopo così tanto tempo. A Parigi poi…
– Erika? Dico con tono incerto fingendo di averla riconosciuta solo parzialmente. – Ride.
– Tipico tuo Ziiro, fingere di non avermi riconosciuta subito. – Le sorrido.
– Non ti sfugge niente eh? –
– Ritenta la prossima volta. Che ci fai qui a “Paris”? – dice pronunciando il nome francese della città –
– Ho tenuto una conferenza sulle mie ricerche oggi pomeriggio. –
– Alla fine sei riuscito veramente a fare ricerca, sono felice per te. – Mi risponde entusiasta.
Le chiedo il motivo della sua visita a Parigi e lei dice soltanto:
– La settimana della moda –
– Cosa? –
– La settimana della moda, non dirmi che non sai cos’è –
– Ovviamente lo so, ero solo stupito, non ti facevo così appassionata  di moda –
– Faccio la modella, mi permette di viaggiare, la moda per me è solo un mezzo –
– E poi davano a me del cinico –
– Avevano forse torto? – mi chiede con un sorriso dipinto sulle labbra.
Dio quanto è bella, due occhi che riflettevano la luce in modo diverso, uno verde e uno viola.
Eterocromia.
– Non sei più rossa? –
– Mi sono stancata di tingermi i capelli. Perché, ti piacevano? -
 Rido.
– Certo, sai che avevo una cotta per te alle superiori? –
– Sul serio?- mi chiede spiazzata.
– Sul serio –
– E perché non mi hai mai detto niente? –
– Perché ero fottutamente sicuro della tua risposta, eri attratta dai ragazzi con le chitarre alle superiori –
– Perché non te ne sei comprata una allora? –
– Mai avuto la tenacia necessaria per seguire uno strumento –
– Peccato… –
Lei, la ragazza che mi è sfuggita. Sono indissolubilmente legato a lei e lo sarò sempre. Non era amore. Non è amore. Almeno non credo. So che la voglio e basta. Non era semplice attrazione fisica lei era… Era semplicemente lei. Mi guarda negli occhi e mi chiede se ho progetti per la notte.
– Nulla in particolare – le rispondo.
– Andiamo per “Paris”- allora.
– Vuoi sul serio camminare sotto la pioggia? – le chiedo. Credevo fossi entrata per ripararti.
Io personalmente amo camminare sotto la pioggia, è una delle cose che più preferisco al mondo. Ovviamente senza ombrello, sennò che gusto c’è?
– È una delle cose che più preferisco al mondo –  mi risponde.
– Wow –
Mi prende la mano e usciamo.
Paris de nuit sous la pluie.
Fantastico.
Camminiamo per non so quanto, non parliamo di niente in particolare. Conversazioni ricche di nulla. Sappiamo entrambi cosa vogliamo.
La bacio.
Un brivido le corre lungo la schiena.
Lo sento.
– In che albergo sei? – mi chiede.
– Hotel Chevalier, stanza 749 –
– Noto che non badi a spese – mi dice sorridendo.
– Andiamo allora –
Chiamo un taxi e noi entriamo. Ci dirigiamo verso l’albergo mentre la pioggia batte contro il parabrezza del taxi e le luci a led dei lampioni parigini si alternano sopra di noi. Lei mi appoggia la testa sulla spalla durante tutto il tragitto, ha un aria malinconica. Poco dopo giungiamo di fronte all’hotel.
La facciata è grigia e imponente. Innumerevoli finestre si avvicendando su di essa, disposte a formare un preciso reticolo, tutte di forma rettangolare. Architettura moderna.
Entriamo nella hall.
– Bentornato in Francia signor Mughen – Mi accoglie Jacques della reception, visto le mie frequenti visite a Parigi ho scelto un albergo fisso dove pernottare, ormai conosco quasi tutto lo staff dell’Hotel Chevalier.
– Le do le sue chiavi – aggiunge.
– La valigia è già stata sistemate nella solita suite –
– Grazie Jacques –
Viaggio sempre abbastanza leggero visto che lo faccio spesso per lavoro, sempre lo stretto necessario, qualche completo basta a soddisfare le mie esigenze di vestiario poi per il resto la valigia è sempre colma di libri.
Prendiamo l’ascensore, ultimo piano.
 La suite è enorme. Pareti con striature di varie sfumature di giallo alternate. Copriletto gialli, cuscini gialli, tappeti gialli. Tutto giallo. Il giallo mi lascia indifferente. 
Entriamo e lei si guarda intorno con sguardo annoiato, le prendo il cappotto e lo appoggio ad una sedia.
– Ti piace davvero questa stanza? – mi chiede.
– Non male come suite e il servizio qui è ottimo, il colore è quello che è ma tutto sommato non mi dispiace –
– Quanto ti costa esattamente stare qui? –
– Ti interessa veramente? – sorride.
– Ordinami un drink -
 chiamo la reception:
– Concierge –
– Je voudrais commander deux Hemingway Daiquiri, s’il vous plaît –
– Quelque chose d’autre? –
– Deux omelettes aux crevettes, merci -
 metto giù la cornetta.
– Hemingway Daiquiri? Ti senti letterario oggi?-
– La situazione mi pare adatta –
– Non sapevo parlassi il francese così fluentemente, a scuola eri “Il madrelingua inglese” –
– Ci sono molte cose che non sai di me –
Mentre aspettiamo il servizio in camera Erika apre la mia valigia con delicatezza, si sofferma a leggere i titoli dei libri che ci sono dentro.
– Ci sono più libri che vestiti! – afferma divertita.
– Ho sempre avuto una passione per la letteratura –
Tira fuori il mio iPod e la docking station, lo accende e si mette a guardare la mia libreria musicale.
– Wow sei parecchio moderno, non è appena uscito questo iPod? –
– Il giradischi era poco maneggevole… Ho ventott’anni mica novanta –
– Le tue playlist dicono il contrario –
– Se guardi bene c’è ogni genere musicale possibile e immaginabile lì dentro, non mi piace limitarmi –
– Siamo in due allora –
Sceglie la playlist “Jazz” e il suono suadente degli strumenti rimbalza sulle pareti.
– Ottima scelta – le dico.
Giunge il servizio in camera, il cameriere lascia il carrello e io firmo per il pagamento, lei solleva il coperchio del piatto di omelette, le osserva annoiata e lo rimette al suo posto, prende i due Daiquiri e me ne porge uno. Non tocchiamo cibo. Finiamo i drink e la conduco a letto.
Mi bacia.
– E ora? – mi chiede.
– Ora cosa? –
– Ora che facciamo? –
– Be’ stiamo insieme per una sera e vediamo come va –
– Non ti facevo così superficiale, pensavo fossi tipo da relazione seria –
– Ti sbagliavi cara –
Sorride.
– Va bene così allora –
Passiamo la notte insieme.
Il mattino mi alzo presto, le omelette sono fredde ormai, fuori piove ancora.
Perfetto.
Lei dorme serena, sembra quasi felice.
Mi faccio una doccia, esco e mentre mi asciugo i capelli la guardo. Une delle sue gambe spunta dal lenzuolo, la pelle bianca riflette la luce dell’alba.
 Si sveglia e si accorge che la sto fissando. Sorride. 
Si alza dal letto coprendosi il corpo col lenzuolo.
– Buongiorno – mi dice.
– Buongiorno anche a te –
Ha i capelli completamente spettinati e un rivolo quasi impercettibile di saliva all’angolo della bocca, lo noto e mi metto a ridere.
– Che hai da ridere? –
– Non sapevo che anche le belle ragazze sbavassero durante il sonno –
Arrossisce sorridendo e si pulisce con il lenzuolo.
– Ho un aereo per New York più tardi – mi dice.
Giusto, la settimana è finita.
– Io vado a Tokyo in serata e rimarrò lì per qualche settimana – le rispondo.
– Ci rivedremo? –
– Se tu lo vorrai si, un altro albergo, un’altra città –
– E questo rapporto come lo definiamo? Non sono in una relazione da parecchio tempo, sai com’è gli impegni di lavoro… Il tanto viaggiare… –
Ho capito l’origine della sua malinconia, non sentirsi mai veramente a casa. Siamo più simili di quanto pensassi.
– Non lo so, non ne so tanto, sono single da parecchio pure io, comunque fa veramente qualche differenza? –
– No – sorride. – Non veramente –
Si alza lasciando cadere il lenzuolo, osservo il suo profilo nudo mentre si infila nella doccia. Faccio partire la playlist “Sad Robot” in riproduzione casuale e la prima canzone è Free Bird dei Lynyrd Skynyrd.
Adatta.
Un altro albergo, un’altra città.

 

Ispirato parzialmente al cortometraggio “Hotel Chevalier” di Wes Anderson.

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