La Pianista

La Pianista

La Pianista è un film del 2001 diretto da Micheal Haneke e tratto dal romanzo omonimo di Elfried Jelinek. Lungo 131 minuti, è stato presentato al Festival di Cannes, ove ha ricevuto il Grand Prix Speciale della Giuria, il premio per la miglior interpretazione femminile e il premio per la migliore interpretazione maschile.

DISCLAIMER: La seguente recensione (peraltro realizzata senza conoscenza tecnica alcuna) spoilera tutto il film (i particolari che non ci sono probabilmente me li sono dimenticati), se guardate i film come leggete e vi informate dai giornali, non andate avanti.

 

Protagonista del film è una donna, un’insegnante di pianoforte, Erica, che vive ancora con sua madre e intrattiene un rapporto amoroso con un suo allievo.

Hanekea suo dire, ha scelto di rielaborare in film il libro poiché va a molto a fondo psicologicamente, arricchendosi di acute critiche e osservazione sulla società e sulla morale interpersonale e perché ha una struttura lineare, adatta ad essere narrata filmicamente; la difficoltà, per il regista. Tuttavia, il regista tiene a specificare che il suo film non è una versione cinematografica del libro, poiché sarebbe stato impossibile trasporre il linguaggio ricco di perifrasi e di metafore che è il punto forte dell’autrice (ed anche il motivo per cui ha esitato a permettere la realizzazione di un film basato sul suo libro): il film e il libro hanno in comune solo la storia, narrata da Haneke con mezzi diversi, quelli del cinema che, secondo il regista, dovrebbe essere autonomo ed utilizzare la letteratura solo come cava intellettuale. Elfried Jelineke si è detta stupita di come Haneke è riuscito a raccontare la sua storia, e ne ha apprezzato il lavoro.

We both proceed analytically and dispassionately, perhaps like scientists studying the life of insects. You see the mechanisms better from a distance than when you are in the middle of them.

Elfriede Jelinek, riferendosi ad Haneke

Su un piano tecnico, nel film non vi sono frenetici cambi di inquadrature o virtuosismi: esclusi lunghi piani sequenza (che, come il regista dichiara qui, servono per dare agli attori la possibilità di sviluppare se stessi nel proprio ruolo, sebbene debbano recitare seguendo rigorosamente il testo senza istrionismi), la macchina si concentra in primi piani, a volte molto a lungo, principalmente su collo e volto, per carpirne le talvolta impercettibili modifiche e reazioni (come l’inquadratura sul volto di Erica, sul quale, solo in quelle occasioni, s’increspa, appena accennato, un sorriso mentre ascolta Schubert). La scena inizia bruscamente, senza conoscerne i presupposti, prima che avvenga qualche atto, e termina solo ad atto concluso (ad esempio la scena del bagno, a lungo inquadrato prima che Erica vi entri). I dialoghi tra Erica e il suo amante molto spesso non sono degli scambi, ma delle decantazioni senza risposta, quasi a richiamare quell’amor cortese che prevede che la madonna venga ridotta a orecchio; il silenzio del ricevente provocano ansia e irrequietezza nel mittente, che supplica una risposta; tuttavia il rapporto non è univoco, e non è uno solo dei due a trovarsi di fronte ad una vacua e muta maschera inespressiva: molto spesso le parti  si invertono, in un gioco e un ribaltamento di ruoli ch’è anche ciò su cui si basa la sessualità di Erica; un fantastico esempio è la scena in cui i due si trovano barricati nella stanza della donna, e prima il giovane chiede che Erica gli dia spiegazioni che “smuova quel raffinato musetto per spiegargli quello schifo”, poi è Erica, angosciata e terrorizzata dall’aver scandalizzato il ragazzo a pregarlo di parlarle. Solitamente Haneke non utilizza musica al di fuori di quella di scena (come il secondo punto del decalogo del Dogma 95 richiede, affermando “Il suono non deve mai essere prodotto a parte dalle immagini e viceversa.”), poiché, a suo parere, essa viene utilizzata nel cinema per sopperire alle mancanze di trama e recitazione, non sufficientemente in grado di produrre emozioni; in questo film invece, è stato più indulgente. 

I picked out the Schubert pieces, which was a lot of fun. Especially the way in which the lieder were used, which appear in Jelinek’s work in certain allusions. Of course that provided me as a reader with a legitimate reason for demonstrating my love of Schubert’s lieder, and we were lucky to have excellent young musicians.

Micheal Haneke, in quest’intervista.

 

Trama

La storia di Erica è alquanto travagliata; suo padre è morto, pazzo e lei vive ancora con sua madre, patologicamente possessiva e ossessiva: ne controlla gli spostamenti, l’abbigliamento e non ne riconosce quindi la crescita; lo sviluppo della donna è quindi fortemente inficiato dall’asfissiante presenza della madre, e sembra essersi fermato: Erica si mutila i genitali (per negare un accrescimento fisico che non corrisponde ad un corretto strutturamento interiore), dice all’amante di essere “pulita come una bambina” e nutre una morbosa curiosità nei confronti del sesso (difatti spia le coppiette ai drive-in, annusa i fazzoletti intrisi di sperma ed è assidua frequentatrice di cabine pornografiche). Il rapporto con sua madre è molto ambiguo: da un lato la complicità (come quando affermano, ridendo, di avere un “carattere forte”, dall’altro la violenza e la pulsione sessuale, forse causato dal sentire il dovere di rimpiazzare il padre, oltre che occupandone il posto nel letto matrimoniale, anche cercando di baciare la madre (anche questo sintomo di una sessualità non evolutasi). Questa sua perversione non trova sbocchi nel mondo esterno, e si manifesta solo nella sua passione per Schubert che, pazzo, sente a lei vicino e nel suo sadismo nei confronti degli allievi, che degrada e umilia continuamente, fino ad arrivare a tagliare le dita di una sua allieva, durante una sua ottima performance, per paura che eccella; ciò è specchio di una società che, come afferma apertamente la madre della ragazza (che inoltre s’incarna nella figlia considerandola sua mera proiezione) e più velatamente sua madre, nel dire “non puoi farti superare”. Alcuni direbbero che è proprio la repressione sessuale  e l’obbligo di annullare la sua libido causato dalla presenza ossessiva e oppressiva della madre a causare la sua perversione. La sua sessualità e la sua condizione, inoltre, la mettono fortemente a disagio ed è costretta a dissimulare, e ad indossare una maschera che ne nasconda le perversioni: ad esempio bacchetta severamente un suo allievo dopo averlo trovato a guardare una rivista pornografica e l’intero insieme di uomini e donne per lasciarsi andare troppo alla libido; vive nella convinzione di disgustare gli altri, come si evince dalla precedentemente citata scena nella sua camera e negli spogliatoi; Walter conferma che gli ripugna, ma lui stesso, nei repentini cambi di ruoli, teme di far schifo alla donna quando, sempre negli spogliatoi, dopo una fellatio, Erica vomita: è emblema di un amore che si esprime nella mutua mortificazione.

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Walter è l’antitesi della donna: bello, sicuro di sé, affermato, normale è sorridente: non può che scontrarsi col sistema chiuso composto da Erica e la madre, come nella bellissima scena dell’ascensore, la cui entrata Erica, con l’approvazione dell’altra donna, preclude a Walter, che risponde sorridendo affabilmente. Nonostante riscuota molto successo con le donne (come si evince dalle prove del concerto di Anna, dove Walter si mostra compiaciuto delle risatine quasi isteriche di due ragazze attratte da lui), s’innamora perdutamente di Erica, e fa di tutto per attirare la sua attenzione; l’insegnante però non si concede e si dimostra intransigente e seriosa, opponendosi alla scelta dei suoi colleghi di avvallare il desiderio di Walter di entrare nella sua classe. Dopo un lungo corteggiamento al quale Erica si mostra immune, ma che la scuote, i due si lasciano travolgere dalla passione in un bagno; è qui che comincia  a manifestarsi la perversione di Erica: la donna costringe Walter ad una prova di obbedienza e auto-controllo, la negazione dell’orgasmo, pratica del BDSM, denigrandolo successivamente. Il rapporto con Walter è da lei visto conflittualmente: da un lato la possibilità di catarsi e di nobilita di un’anima fragile (quando afferma “sono pulita grazie a te”) e il disgusto provato verso le proprie pulsioni, che la portano a vomitare durante un atto.

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In un primo momento Erica mantiene il suo contegno da austera professoressa e mai si scompone, instaurando un rapporto di superiorità con Walter, che le deve ubbidire in tutto e per tutto e soddisfare ogni suo capriccio. Walter, follemente innamorato, pur di accontentarla accetta di soddisfare i suoi desideri, espressi in una lettera, ma questa sua disponibilità si rivela essere volta solo ad auto-soddisfarsi, e vivere un rapporto sessuale “normale”; Erica lo costringe però a leggere la lettera, in camera sua, dopo aver bloccato la porta con un armadio, per paura delle continue intromissioni della madre. Il voler affidare alla scrittura i propri desideri più reconditi può avere varie spiegazioni: la vergogna e il disagio nell’ammettere le proprie perversioni verbalmente, il fatto che le pratiche sessuali indicate dalla donna si costruiscono, come evidenziato dalle teorie queer, discorsivamente e il bisogno di avere tutto sotto controllo, e di far collimare la realtà con le proprie fantasie (su questo si esprimerà Groddeck affermando che “è l’atto sessuale ad essere surrogato della masturbazione).

Io non ho sentimenti, Walter, e anche se ne avessi per un giorno essi non prevarranno mai sulla mia intelligenza.

Erika Kohut

La pianista bj

Le fantasie della donna (che dice di voler ciò che Walter vuole, e quindi continua ad affermare la sua normalità) prevedono di essere legata e picchiata, punita per il suo disinteresse nei confronti della madre (come a voler proiettare sul partner la figura del defunto padre), torturata sotto gli occhi inermi della madre, potendosi quindi sottrarre al suo sguardo protettiva, ed uscire dalla bambagia ormai diventata una gabbia troppo stretta; è durante la lettura della lettera che avviene lo scambio delle parti: ad un tratto è Erica a dover scusarsi, a dover pregare Walter, che lascia la casa dichiarandosi ripugnato. Il giorno dopo Erica segue Walter (come egli fece la sera prima) e negli spogliatoi, Erica afferma di amare Walter e di voler fare tutto ciò che vuole.

Nessuna donna aveva mai vomitato dopo avermelo preso in bocca.
In due giorni, Erica, dal dire di avere pulsioni sessuali che però reprime in favore della razionalità, si abbandona, dichiarandosi non interessata a ciò che gli altri pensano (quando il giorno prima Walter le rimproverava il preoccuparsi troppo di ciò che gli altri pensano); dopo che Erica vomita, Walter s’infuria.

Quella sera Walter piomba in casa e attua le fantasie di Erica: la comincia ad insultare, chiude sua madre in una stanza e comincia a picchiarla, tuttavia la situazione sfugge di mano e non è come la donna l’aveva immaginato (ad ulteriore conferma di ciò che Groddeck diceva). Walter giustifica il suo agire affermando che “non si può stuzzicare così un uomo e poi…”; l’azione di Walter sembra quindi volta a dare una lezione a Erica, di affermare la moralità sull’immoralità perversa della donna, ma perde il controllo, sintomo di una normalità che non è frutto di un sano strutturamento, ma un fragile equilibrio precario, che richiede, per non frantumarsi, di crescere nella bambagia, dalla quale va tenuto lontano, nel taboo, nell’osceno, i germi che minacciano di intaccare la bella facciata borghese: difatti Walter rinfaccia a Erica di averlo “contagiato”.

Haneke

Haneke

La dinamica tra top e bottom è assai diversa di quella tra un uomo e una donna, bianco e nero o alta borghesia e ceto operaio. Questi sistemi sono ingiusti perché assegnano privilegi basati su razza, genere e classe sociale. Durante un incontro sadomasochista, i ruoli sono acquisiti e usati in modi molto diversi. Se non piace essere un top o un bottom, basta invertire registro. Si provi a farlo col sesso biologico o con l’etnia o con lo status socioeconomico.

Patrick Califia

Dall’esperienza i due ne escono reagendo diversamente; Walter sembra non accusare il colpo e, seppur preoccupato che la faccenda venga alla luce, si presenta sorridente al concerto, come se nulla fosse successo, insieme ad un’altra donna: come Erica affermò precedentemente, lui non può conoscere l’abisso della disperazione di Schubert col suo bel fisico. Erica, invece, ne è molto provata, e il suo sguardo, incorniciato dai lividi è perso nel vuoto. Il tragico finale è perfettamente in linea con il temperamento di Erica, che è messa di fronte ai continui obblighi che le sono imposti, ovvero il dover essere al tempo stesso bambina, marito e confidente per la madre, il dover primeggiare, il dover sostenere noiose dissertazioni su Schubert con un suo collega, il dover mantenere un contegno e il dover reprimere le sue pulsioni; nel sadomasochismo che ricerca, i ruoli non vengono assegnati per nascita e per fato, ma per scelta, e quindi Erica può annullare e alleggerire il peso di queste pressioni annullando il suo libero arbitrio con una pratica sessuale che è il rovesciamento del suo comportamento usuale, in cui è inerme e tutto l’insopportabile fardello delle responsabilità è affidato all’altro, di cui si è in balia. Dopo aver constatato l’impossibilità di mettere in atto ciò con Walter (che è interessato alla musica e alla donna più per un successo personale piuttosto che per un bisogno, come per Erica), l’unica soluzione per sottrarsi al fardello che, come Sisifo, deve sostenere sulla schiena è il suicidio, anch’esso denotato da un’ancora presente pudicizia (sembra rileggere Kafka, che ne Il processo afferma che a K. “parve che la vergogna gli dovesse sopravvivere”), nel voler nascondere il sangue che sgorga come le emozioni e allontanarsi dal ludibrio generale e dall’occhio dello spettatore, morendo in un mondo che continua a muoversi. Il registra, non inquadrando la morte della donna, lascia, come aveva fatto in Niente da nascondere, il finale aperto, poiché, come affermato qui e quo.

I allow the spectator to finish the film in his or her head. Were I to provide an interpretation, that would be counterproductive.

 

 

La scelta di non mostrare la morte è indicativa dell’estetica di Haneke. Anche in Funny Games, del 1997, compie la scelta di non inquadrare mai la violenza e le uccisioni, lasciandole “intuire” al fruitore. Godard affermò “les travellings sont affaire de morale”: il montaggio e le inquadrature, la scelta di mostrare e scartare non possono che dipendere da una posizione morale. La scelta del confinare nell’hors-champ la morte pone il regista vicino alla Nouvelle Vague e in particolare a Bresson, in cui il sonoro fuori campo sostituisce le immagini nella narrazione; Haneke si inserisce in seno alle riflessioni di Bazin (in Morte ogni pomeriggio), per cui rappresentare la morte, come l’amore sarebbe osceno. Al fuori campo Ejzenstejn dedicherà un interò omonimo saggio; per figurare il non figurabile, ciò a cui la scena tende, senza mostrare, si può ricorrere alla combinazioni di due immagini, e quindi il fuori campo risulta essere l’interstizio tra due scene, che è anche il luogo dove l’immaginazione umana crea attivamente associazioni; ma il regista russo si spinge anche oltre questa definizione, che lo avvicina a Deleuze  (entrambi affermano la necessità di uno scarto non inquadrato), chiamando il fuori campo tema ingovernabile, una nebulosa di significato che le inquadrature indicano senza mostrare, lasciando la sua esplorazione al pensiero.

L’uno e l’altro sono alla loro maniera la negazione assoluta del tempo oggettivo: l’istante qualitativo allo stato puro. Come la morte, l’amore si vive e non si rappresenta – non è senza ragione che lo si chiama la piccola morte – o almeno non lo si rappresenta senza violazione della sua natura. Questa violazione si chiama oscenità. La rappresentazione della morte reale è anch’essa un’oscenità, non più morale come nell’amore, ma metafisica. Non si muore due volte […]. Prima del cinema si conosceva solo la profanazione dei cadaveri e la violazione delle tombe. Grazie al film, si può violare oggi ed esporre a volontà il solo nostro bene temporalmente inalienabile. Morti senza requiem, eterni ri-morti del cinema!

André Bazin

In conclusione, La Pianista (che mi ha ricordato Breaking waves di Lars von Trier)  è un film a mio parere molto ben fatto e curato, nelle inquadrature e nella recitazione eccezionale di Isabelle Huppert (che il regista ha affermato essere la migliore attrice europea in circolazione), da vedere assolutamente. 

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