C’era una volta un terrificante Drago

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C’è un grande drago verde, che ti toglie le speranze…

Parte prima, l’età dell’innocenza

Era il lontano 1981 quando, a Natale, mio padre ci portò l'Intellivision della Mattel.
Reduce da ore di divertimento con il Pong, in cui dall’alto dei miei 4/5 anni riuscivo anche a vedere i “giocatori” in quelle stanghette verticali, la grafica di questa nuova consolle mi strabiliò in modo incredibile.

Dopo neanche un mese, in un negozio di videogiochi, vedemmo esposta una cartuccia dal nome interessante. Il gioco si chiamava ”Advanced Dungeons & Dragons”, che mio fratello di nove anni tradusse come “Avanzare, pericolo e draghi” (beh, sì, il nostro inglese non era granché ai tempi).
Da subito fui colpito dalla grafica e dalle animazioni di questo gioco, nonché dagli effetti sonori che generavano un’atmosfera inquieta, soprattutto il “ruggito” dei draghi.

Avevo appena compiuto il mio primo passo nel mondo dei giochi di ruolo.

Parte seconda, la pre-adolescenza

Circa quattro anni dopo, alcuni miei amici mi mostrarono un nuovo tipo di gioco da tavolo, chiamato ”Dungeons & Dragons”, in cui si potevano vivere avventure ogni volta differenti, e si poteva decidere di affrontarle con diverse classi, non solo l’arciere del gioco per Intellivision.
Fui affascinato da questo gioco, ma per quanto implorassi mio padre, non ne voleva sapere di comprarmelo (al tempo era disponibile solo attraverso un paio di negozi specializzati, e costava un tantinello troppo per un padre di tre figli con uno stipendio da impiegato).

Non potendo averlo tutto per me, iniziai a fantasticarci sopra giocando con i mattoncini LEGO, e immaginandomi che alcuni omini fossero maghi, altri guerrieri, ed alcuni orchi. I draghi cercavo di realizzarli con i mattoncini stessi.

Arrivò poi, nel Natale del 1986, il fido Commodore C=64, che mi accompagnò fino ai tempi delle scuole superiori. Su questa nuova, incredibile macchina, la grafica era ormai così realistica che non ebbi più bisogno della fantasia, tutto era lì dinanzi a me.
Parallelamente alla mia carriera ludica sul C=64 iniziò, dapprima saltuariamente e poi con maggiore costanza, la mia carriera di lettore di ZZAP!.

Sulle pagine della rivista mito per gli 8-bittari, iniziai a fantasticare sulle recensioni delle varie incarnazioni elettroniche di AD&D, espandendo con la mia fantasia le storie narrate dai recensori, ancora accompagnato dai LEGO.

Da lì a due anni, la mia vita cambiò in maniera imponente.

Parte terza, Sono un Dungeon Master

L’anno è il 1988, seconda media, 12 anni quasi compiuti. Il mio migliore amico mi mostra un nuovo tipo di gioco che sua madre, insegnante di lettere, apprezza, il Librogame (per chi non li conoscesse, i libri game permettevano di leggere una storia nella modalità “scegli il tuo finale”, in cui il lettore ha, periodicamente, la possibilità di scegliere tra due o più diramazioni, andando di fatto a pilotare la storia, insomma una specie di GdR in solitario).
I temi sono molti, dalla fantascienza al fantasy, a Sherlock Holmes, passando anche per il post-apocalittico.

Il mio amico me ne presta alcuni, soffermandosi in particolar modo su un paio di titoli che non riesce a comprendere, perché strutturati in maniera diversa.
Trattasi, difatti, di avventure per un “normale” GdR, chiamato “Uno sguardo nel buio” (edizione italiana del tedesco Das Schwarze Auge.
Colpito dalla similitudine con l’ormai tristemente quasi dimenticato D&D, chiedo a mio padre se possa cercarmi in qualche libreria questa “Introduzione all’avventura fantastica”. Fortunatamente, attraverso uno scambio titoli (mio padre lavorava per un importante editore italiano) mi procura questo manuale e, su suggerimento della titolare della libreria, anche un set di dadi.
Inizia quindi la mia carriera di Narratore (così era definito il DM in USNB), coinvolgendo anche il mio amico, che di lì a poco decide di fare il salto, e di comprare tutte le cinque scatole di D&D (da me prontamente fotocopiate per uso personale).
Oltre che Narratore, in parallelo inizio a fare anche il Dungeon Master.

Parte quarta, l’età d’oro dei giochi di ruolo

Gli anni ’80, e gli anni ’90, segnano quella che, a mio dire, è l’età d’oro dei GdR.
In questi anni, infatti, sbocciano sistemi di gioco di ogni natura, forma, ambientazione e complessità, creando un mercato sì florido, che persino l’austera Arnoldo Mondadori Editore decide di invischiarvici, seppur per breve tempo, pubblicando Tunnels & Trolls.
Questi anni vedono anche la rivoluzione nei GdR per computer, introducendo grandi classici quali Dungeon Master ed Eye of the Beholder, che aggiungono l’elemento “tempo reale” al gioco, rendendo il GdR elettronico più appetibile anche per i non affezionati al genere.
In questi anni la “droga” del GdR mi porta a spendere decine di migliaia di lire in fotocopie di manuali in prestito da amici, nonché decine di migliaia di lire in manuali assortiti, e segna anche l’inizio del mio forte impegno nello scrivere regole personalizzate per i giochi vari, in particolare per quello che resterà sempre il mio gioco principale, Advanced Dungeons & Dragons 2nd Edition.

In questo periodo, inoltre, introduco diversi miei amici e parenti al GdR, in particolar modo ad AD&D2E, con una escalation nel tempo dedicato a questo hobby, arrivando a giocare a nove gruppi diversi nell’arco della settimana (uno per giorno in settimana, e tutto il weekend dedicato al gioco).

Elemento comune di tutte le campagne giocate nel fantasy, prima o poi il gruppo incontrerà i draghi, con sommo terrore di tutti i giocatori (da qui la didascalia dell’immagine, cantata da mio cugino sulle note di “un mondo d’amore” di Morandi, dopo essere stato vaporizzato).

Parte quinta, il lavoro ed i tempi moderni

Con l’inizio della (scarsa) carriera lavorativa, il tempo dedicato alle mie più grandi passioni (GdR e videogame) si riduce sostanzialmente, al punto da essere in grado di giocare al tavolo in media una volta al mese, e al computer un po’ più frequentemente, più o meno sette ore alla settimana.

In questo periodo perdo di vista il mercato dei GdR, non mi aggiorno, continuo a rivangare il felice passato di un tempo, ma poco importa, dato che i miei amici adorano giocare AD&D2E con me come Master, arrivando al punto da “impormi” di fare il Master, perché adorano le mie storie.

Un giorno, nel luglio del 2006, ormai trentenne, grazie ad un nuovo impiego riesco a ritornare nella mia città natia, e quindi a riavvicinarmi ai miei giocatori (per cinque anni ho vissuto a 1000km da loro, motivo per cui si giocava raramente).
Il primo passo dopo il rientro è di metter su gruppi per giocare D&D, ma ecco che i miei amici mi parlano della terza edizione, di cui non sapevo nulla, e per un po’ ritorno ad essere giocatore.

Questo regolamento, se da una parte mi colpisce per avere diversi elementi in comune con le mie regole fatte in casa, dall’altra mi sembra un po’ una semplificazione della mia amata 2E. Ci gioco per un po’, ma poi tutti decidiamo di tornare alla 2E con le mie regole personalizzate.

Arriva l’anno 2008, e con esso la quarta edizione di Dungeons & Dragons. L’impatto iniziale è forte, il regolamento sembra di gran lunga più avanti rispetto alle precedenti edizioni, ma poi mi rendo conto di esser stato confuso dagli “effetti speciali” della nuova veste grafica.

Il gruppo c’è, le avventure si giocano, ma tutti rimaniamo con un senso di “asciutto” in bocca al termine di ogni sessione. Il motivo? Semplice, le regole non ci offrono quella varietà che c’era un tempo, i giocatori non sentono più la sfida come prima e, soprattutto, il drago non fa più paura.

Spieghiamoci meglio.

Nella 2E, il drago era una creatura spaventosa, capace di devastare un intero gruppo di personaggi in poco tempo, grazie ad una CA molto bassa (per chi non conoscesse la 2E, la CA partiva da 10 e scendeva; più basso il numero, migliore la protezione), un numero elevato di attacchi, danni elevati, tanti punti ferita, un soffio potente, e la possibilità (spesso) di lanciare incantesimi (da mago, ed a volte da chierico).

Nella 3E, il drago continua ad essere una creatura forte e terrificante, con in più la resistenza al danno che spinge i giocatori a pensarci due volte prima di attaccarne uno.

Cosa avviene con la 4E?
Il drago diventa un autobus!

COSA? COME? CHE?

Ebbene si, nella 4E il drago non fa più paura a nessuno.
Intendiamoci, la CA è elevata, ed i PF sono uno sproposito, ma questo drago attacca poche volte, non lancia incantesimi, ed infligge danni limitati a confronto con la taglia.
Nel mio gruppo, la prima volta che hanno affrontato un drago adulto si sono spaventati, ma dopo un paio di round di combattimento hanno capito che per il rettile non c’era speranza. Il commento è stato “ok, è grosso, ma non lo manchiamo mai, quindi è solo una questione di tempo”.

Con il tempo, ci siamo resi conto come, nonostante fossi parco di oggetti magici a disposizione dei personaggi, nessuna creatura entro quattro livelli dal gruppo fosse un vero e proprio problema. Questo perché la 4E è stata sviluppata come un MMORPG da giocare al tavolo, dove i mostri “potenti” sono più che altro mostri “robusti”, progettati per far durare a lungo lo scontro con il boss, ma alla fin fine, seguendo le regole, il gioco non offre più alcuna sfida.

Soprattutto, le classi avanzano, in base al loro ruolo (tank, DpS, healer o buffer, anche se le chiamano con termini diversi) in parallelo, quindi tra due DpS di pari livello, di classi diverse, le differenze sono minime. Ciò che uno perde in termini di dadi di danno, lo guadagna in termini di effetto aggiuntivo, rendendo le classi fondamentalmente uguali tra loro, se non per qualche dettaglio di stile.

Parte sesta, il futuro, il territorio inesplorato

Lo scopo di questo articolo è stato, principalmente, un personale sfogo nei confronti di ciò che D&D è diventato in tempi moderni, seguendo una scia che accomuna i videogiochi e i giochi da tavolo.

La spinta a scrivere questo sfogo è stata l’articolo sulla difficoltà di Dark Souls, e la “guerra” di commenti che ne è scaturita.

Ricordo ancora con gioia le ore trascorse a studiare regole da dozzine di manuali, per poter creare campagne da vivere, e non semplicemente giocare.

Ora, invece, con la 4E (ed una 5E in lavorazione), il gioco si è snaturato e semplificato, al punto da contare circa sette regole (incluse le regole per il calcolo dei bonus).

Tutto questo a causa della pigrizia da parte dei giocatori, della loro mancanza di voglia di impegnarsi, del loro non voler usare la testa nello svago.

Cosa ci riserverà il futuro?

Un GdR dove lanci un dado all’inizio dell’avventura, e quel lancio determina tutta la storia?
Un GdT dove il master assegna gli achievement ai giocatori quando passano di livello e trovano oggetti magici?

Non so voi, ma io personalmente resto con la 2E, e non penso che la cambierò mai.

Mi piace sapere che il mio mago, dopo una vita di sforzi, finalmente inizia ad essere forte al 7mo livello, e diventa il terrore di tutti al 15mo…

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