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Eric Chahi, breve cronistoria di un visionario

It took six days to create the Earth. Another World took two years

Quando si parla di videogiochi una delle figure simbolo degli anni ’90 è sicuramente Eric Chahi, visionario game designer francese che ha associato il proprio nome a un particolare genere videoludico, il platform cinematico. Il nome di Chahi è anche indissolubilmente legato a una delle più importanti software house transalpine, la Delphine Software.

Gli inizi

Chahi comincia la sua carriera di game designer nel 1983 programmando giochi su Amstrad per la compagnia Loriciel, software house francese specializzata in giochi per Spectrum e Amiga. Successivamente collabora per con la casa di produzione Chip per approdare definitivamente nel 1989 alla Delphine dove sviluppa con Paul Cuisset Time Travellers, un’avventura punta-e-clicca che si tramuta nel primo vero piccolo successo della neonata software house francese.

Già in questo gioco emerge chiaramente uno dei punti fermi di tutta la produzione di Chahi: la cinematograficità. Il game designer francese infatti concepisce il videogioco come uno strumento di comunicazione strettamente affine al cinema e nei suoi giochi tenta di riprodurre il più possibile sia a livello grafico che sonoro la sensazione di essere immersi in un vero e proprio film. Grande importanza hanno infatti la presentazione e gli spezzoni video inseriti nel gioco che permettono di immedesimarsi il più possibile nella trama del videogioco.

Il 1989 è anche un anno che apporta una piccola rivoluzione nel mondo videoludico: in quell’anno infatti Jordan Mechner sviluppa per Apple II Prince of Persia. Il gioco in questione infatti porta un enorme balzo avanti a livello di animazione grazie alla tecnica del rotoscoping che consiste nel “ricalcare” scene di una pellicola filmata in precedenza. Mechner infatti per produrre il gioco aveva analizzato ore e ore di filmati di salti e corse del fratello minore David vestito di bianco come il protagonista del gioco.

Chahi rimane profondamente impressionato dalla qualità grafica del gioco e comincia a sviluppare in solitaria un gioco che porti all’estremo quanto visto nel gioco di Mechner, un vero e proprio film interattivo e assolutamente realistico che permetta al videogiocatore di prendere le sembianze di un uomo comune, un eroe per caso che si trova misteriosamente proiettato in un mondo nuovo e inospitale, un mondo “altro”.

Il capolavoro assoluto: Another World

Chai decide quindi di buttarsi anima e corpo in questo nuovo progetto e dedica due interi anni della propria vita alla creazione di un prodotto che rivoluzionerà il concetto di esperienza videoludica sotto diversi aspetti.

Another World viene presentato trionfalmente nel 1991 per Amiga e in poco tempo riesce a sfondare il muro del milione di copie vendute diventando un vero e proprio oggetto di culto tra i videogiocatori.

Nel gioco impersoniamo Lester Knight Chaykin, brillante fisico che a causa di un esperimento andato storto si ritrova proiettato su un inospitale pianeta alieno. La presentazione, splendida sia a livello grafico che di regia, ci mostra l’arrivo del protagonista al suo laboratorio su una Ferrari 288 GTO e il successivo incidente all’acceleratore di particelle per colpa di un fulmine.

La grafica poligonale utilizzata colpisce ancora oggi per la pulizia delle linee e la fluidità dell’azione; Chahi sperimenta in diverse direzioni prima di arrivare al risultato finale spremendo al massimo le possibilità tecniche della macchina per riuscire ad ottenere un’animazione da 20 frame al secondo. I movimenti del protagonista risultano quindi sempre essere estremamente “realistici” trasformando il gioco in una sorta di film giocabile. Il game designer francese per migliorare ulteriormente la resa si avvale inoltre della tecnica del rotoscoping registrando immagini su videocassetta e trasformandole poi in poligoni. Per i fondali dopo diversi esperimenti decide invece di mantenere la grafica in bitmap.

La colonna sonora, creata da Jean-François Freitas, è composta praticamente solo dalla musica dell’introduzione perché il resto del gioco non presenta nessun brano di sottofondo, come a voler rimarcare ancora di più la situazione di totale abbandono e smarrimento vissuta dal protagonista. Chahi difende con forza questa scelta entrando ben presto in contrasto con la Interplay, distributrice del gioco negli Stati Uniti, che trova la musica iniziale poca adatta ai palati nordamericani. Per il creativo transalpino è inammissibile modificare la benché minima della sua creazione concepita come un insieme di elementi che si incastrano perfettamente tra di loro. Comincia quindi una battaglia suon di fax tra le due sponde dell’Atlantico che termina con la Delphine Software che prende le difese di Chahi e convince Interplay ad accettare il prodotto nella sua interezza.

Nel gioco abbiamo come unico obiettivo quello di riuscire a far avanzare il protagonista mantenendolo vivo e vegeto. Il nuovo pianeta è infatti estremamente inospitale e pericoloso a causa della flora e fauna locale che ha un’innata tendenza a volerci mandare all’altro mondo. Il pianeta è governato da una razza aliena dalle sembianze umanoidi che non sembra particolarmente interessata alla situazione di Lester, tanto che il primo incontro tra le due parti si risolve con l’incarceramento del protagonista. La trama è sicuramente il punto forte di Another World, soprattutto per le sensazioni che il gioco è in grado di trasmetterci, infatti il gioco è privo di dialoghi o di qualsiasi spiegazione riguardante la nostra situazione e il pianeta rimarrà per tutto il gioco distante, incomprensibile e l’incomunicabilità tra noi e gli “altri” è palpabile. Gli alieni non vogliono conquistarci, non dobbiamo salvare il mondo, non ci sono boss finali armati fino ai denti che ci aspettano, siamo solo una persona che non sa dove si trovi o cosa stia succedendo ma è spinto avanti da un innato istinto di sopravvivenza. Anche l’aiuto che occasionalmente ci darà un alieno ribelle ha dei contorni abbastanza indefiniti e le sue lunghe assenze spesso ci fanno pensare che ci abbia abbandonato o che abbia preso una strada totalmente differente rispetto alla nostra.

Il nostro personaggio non ha una barra dell’energia e basta un semplice colpo per morire. All’inizio quando siamo appena arrivati sul pianeta non saremo nemmeno armati e dovremo fare affidamento unicamente sulle nostre gambe e sul nostro cervello. Anche avanzando nel gioco l’unica arma a nostra disposizione sarà una pistola al plasma in grado sia di attaccare che di difendere creando una barriera tra noi e i nemici. In alcuni punti dovremo anche nuotare stando attenti alle nostre riserve di ossigeno e agli ostacoli presenti lungo il percorso. I comandi si riducono quindi alle frecce di movimento, un pulsante per saltare e uno per attaccare (con i piedi o con la pistola a seconda del momento).

Il gioco si è quindi imposto velocemente come un nuovo standard e ha generato negli anni seguenti una serie di giochi dalla meccanica molto simile tra cui vale sicuramente la pena ricordare Flashback, altro gioco targato Delphine creato da Paul Cuisset e destinato ad essere ricordato come il videogioco francese più venduto della storia.

La fama di Chahi si allarga a dismisura e a soli 24 anni è considerato uno dei game designer più influenti e il simbolo dell’industria videoludica francese. Ma il nostro enfant-prodige mira ad arrivare ancora più in alto e poco dopo si lancia nella creazione di un nuovo videogioco che avrebbe dovuto alzare ulteriormente l’asticella nel campo dei platform cinematici.

Il successo mancato: Heart of Darkness

Heart of Darkness esce nel 1998 e viene sempre ricordato per il lunghissimo tempo di sviluppo: sei anni. In questo lasso di tempo Chahi ha lasciato Delphine Software, in odore di bancarotta, per approdare ad Amazing Studio e come sempre si è dedicato totalmente alla sua nuova creatura generando un enorme hype creato tra gli addetti ai lavori. Sega, Atari e Infogrames tentano di accaparrarsi la distribuzione del gioco ma alla fine la spunta la casa francese di Bruno Bonnell che decide di distribuire il gioco per Playstation e per PC.

Il gioco si presenta come una variante ultrapotenziata di Another World e questa volta dovremo vestire i panni di Andy, un bambino che dovrà attraversare il pericoloso mondo di Darkland per riportare a casa sano e salvo il suo amato cane Whiskey. Il tema centrale del gioco come si può ben immaginare è il buio e tutte le insidie che vi si nascondono e buona parte dei nemici sono ombre che dovremmo sconfiggere armati di un cannone al plasma o di un’energia magica che ci permette di scagliare palle infuocate e creare scudi energetici.

Questa volta Chahi opta per una grafica 2D con qualche spruzzata di 3D per rendere la profondità di alcuni elementi (ad esempio quando scaliamo le pareti). I fondali pre-renderizzati sono estremamente dettagliati e ancora una volta è la straordinaria atmosfera che si respira a rendere questo gioco qualcosa di veramente speciale. Il gioco pur sembrando all’inizio estremamente child-oriented in realtà nasconde un cuore “dark” che si mostra in tutta la sua cattiveria nelle scene di morte di Andy estremamente realistiche e abbastanza inquietanti. Anche l’introduzione e le sequenze di intermezzo sono estremamente curate e la fluidità di movimento di Andy nelle sessioni di gioco è un piacere per gli occhi. Come per Another World il sonoro si limita alle sequenze di FMV e nel gioco a farla da padrone sono i suoni dell’inospitale natura di Darkland; conviene comunque ricordare che Heart of Darkness è stato il primo gioco ad avvalersi di una orchestra sinfonica per le musiche del gioco.

Nonostante tutte queste mirabolanti premesse il gioco ha ricevuto un’accoglienza tiepida a causa di una serie di problemi che hanno drasticamente abbassato il giudizio finale sul gioco:

– il gioco quando è uscito era già abbastanza obsoleto sia a livello di grafica che di gameplay comparato con altre avventure cinematiche uscite nello stesso periodo (una su tutte Oddworld: Abe’s Odissey) e i sei anni di programmazione pesavano come un macigno sulla resa finale del gioco.
– se la scarsa longevità non era sembrata un problema per Another World su Amiga, sei anni dopo i videogiocatori non potevano accettare un videogame che durasse meno di un’ora.
– il genere dei platform cinematici, così come i punta-e-clicca e i picchiaduro a scorrimento, era entrato in crisi da tempo soprattutto a causa della scarsa interazione con il personaggio e l’inesistente stimolo a rigiocarlo una volta finito.

Heart of Darkness ha insomma decretato la fine di questo tipo di giochi e si è anche assistito al lento declino di software house come Delphine o Amazing Studio, entrambe fallite tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del nuovo millennio. Sempre nello stesso periodo Bruno Bonnell, il “grande vecchio” dell’industria videoludica transalpina, è stato allontanato dall’azienda che lui stesso aveva fondato per andare a dirigere un’azienda specializzata in robotica.

Gli ultimi anni

Dopo il parziale insuccesso di Heart of Darkness Chahi si è allontanato dal mondo dei videogiochi additando come causa principale la mancanza di creatività che secondo lui affliggeva in modo sempre più preoccupante l’industria videoludica. Nonostante tutto continua a lavorare nella promozione dei suoi due capolavori curando soprattutto nuove edizioni migliorate di Another World per PC, console portatili e cellulari. Nel 2010 torna alla ribalta con From Dust, videogioco strategico per Xbox360 targato Ubisoft parzialmente ispirato a Populous e Black White che ha riscosso un discreto successo

Approfondimenti

Eric Chahi, an interview (edge-online.com)
Another World rotoscoping (youtube.com)
Breve storia della Delphine Software (gamezen.it)

[Classically Trained] è la rubrica a cura di @ilsologheo00, @papaincacchiato e @brandobrandi che tratta la storia dei videogiochi e delle console.

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