Hunger

Giusto qualche mese fa mi è capitato di vedermi “Shame”, un film che – per non farla troppo lunga – è semplicemente un film della madonna.
Regista: Steve McQueen, inglese, classe 1969, alle spalle solo un altro lungometraggio, “Hunger”, inedito in Italia. Ora, dopo appena qualche mese, esce pure questo suo primo lavoro, distribuito dalla Bim (grazie!).
Me lo vedo. Inutile, questo ragazzo è proprio bravo ed anche questo è un film incredibile.
Permettetemi di condividere con voi la mia umile recensione.

Nacque nelle periferie di Belfast col nome di Robert Gerard Sands, lo chiamavano Bobby, morì nell’HM Prison di Long Kesh (o Maze, per gli inglesi). Si lasciò morire durante lo sciopero della fame di sessantasei giorni che iniziò nel marzo 1981, sciopero del quale lui, militante della Provisional IRA incarcerato dal governo britannico, fu l’iniziatore (dopo di lui morirono altri nove giovani detenuti). Aveva già scioperato prima, sin dal 1978, con la blanket protest e la dirty protest. Scioperava contro Margaret Thatcher, contro la sua decisione di abolire per lui e per i suoi compagni il riconoscimento dello status di prigionieri politici, contro le angherie e le torture che i nordirlandesi subivano in carcere.

“Hunger” è la storia di Bobby Sands raccontata dal quarantatreenne Steve McQueen, in Italia conosciuto per il suo “Shame”, pellicola uscita però tre anni prima di questo biopic che in realtà è il vero esordio del regista londinese.

Scritto a quattro mani con il dublinese Enda Walsh, esso è un prodotto non convenzionale e molto ricercato nell’estetica, ma non si pensi che McQueen faccia tutto ciò per un banale capriccio dovuto ad un qualche autocompiacimento perché, al contrario, “Hunger” è tutt’altro che un semplice esperimento stilistico. Vestito di un’asciuttezza sconvolgente, con un ritmo lento e delle atmosfere ovattate spaccate da stridenti momenti di disturbante violenza, il film colpisce lo spettatore in maniera formidabile mostrandosi scarno e scavato (come il fisico dei suoi personaggi), ma anche, allo stesso tempo, silenzioso ed urlante (come le loro menti).

Senza sostenere ciecamente la protesta di Sands ma utilizzandola invece per intraprendere un discorso cinico e costruttivo tanto nell’etica quanto nel senso storico, McQueen mescola le regole narrative e fa entrare in scena il vero protagonista a racconto già più che iniziato. Costui è un impressionante Michael Fassbender, prima stoico dissidente brutalmente vessato, poi scheletro sempre più immobile che si riduce a poter parlare solo con gli occhi prima di spegnersi in maniera partigiana per la propria causa.

Separatore di questi due nuclei narrativi, entrambi girati attraverso una regia a dir poco superba, è un intenso piano sequenza (di oltre un quarto d’ora!), un piano sequenza facile dal punto di vista tecnico eppure efficacissimo nella scelta dell’inquadratura, splendidamente magnetico per la conversazione ricchissima nei contenuti (il senso del film è tutto lì!), nonché magistralmente recitato da due bravissimi attori come Fassbender e Liam Cunningham.

Oltre a molti riconoscimenti in festival cinematografici minori, “Hunger” ha vinto il premio Camera d’Or a Cannes 2008, il BAFTA per il Miglior Esordio, 3 British Independent Film Awards, 2 Toronto Film Critics Association Awards e 6 Irish Film and Television Awards.

Recensione pubblicata in contemporanea su pellicolascaduta.it.

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