La divulgazione scientifica

Come ho già scritto altrove, la Scienza (o meglio, le scienze, al plurale) è caratterizzata da una sempre maggiore complessità/specializzazione e dal conseguente allontanamento della sua comprensibilità per tutti i cosiddetti non-addetti-ai-lavori, ovvero i non-scienziati.

Il problema più evidente è che la montagna da scalare per chi volesse “capirci qualcosa” è sempre più alta e sempre più ostica: se prima, fino ai primi anni dell’800, era sufficiente tanta buona volontà e un buon mentore che ci indicasse cosa leggere (così come una buona guida alpina ci indica il tragitto migliore), oggi siamo arrivati al punto che il nostro sherpa o è abbastanza forte e paziente da portarci in braccio fino alla vetta, oppure è costretto a lasciarci al primo rifugio, portandoci un veloce scarabocchio della vetta una volta che fosse tornato a valle.

Qualcuno di voi, una volta arrivato fino alle pendici dell’Himalaya, si accontenterebbe di quel disegno triste e superficiale per poter dire di “aver visto” la cima dell'Everest??? Non credo proprio.

Ma se invece di un brutto disegno fatto su un pezzo di carta sporca il nostro sherpa ci portasse fino a metà della vetta (che è quasi il Monte Bianco) e poi, una volta tornato, ci portasse tutto un album di foto coi controcazzi, magari anche un bel video del momento in cui lui (e il resto della compagnia) avesse raggiunto la cima… Sono disposto a credere che già a questo punto diversi di noi, tornati a casa, potrebbero sentirsi meno imbroglioni raccontando di essere stati sulla cima dell’Everest.

E se, ancora, lo sherpa si fissasse sulle spalle una telecamera che ci tenesse aggiornati secondo dopo secondo del percorso seguito, delle difficoltà incontrate, delle soluzioni trovate… A questo punto qualcuno potrebbe addirittura illudersi di esserci stato per davvero sull’Everest: potrebbe raccontare i suoni, i colori, le paure, le speranze… come se DAVVERO ci fosse stato su quella vetta irraggiungibile.

Ora, fuor di metafora (finalmente), arriviamo a parlare della divulgazione scientifica e dei suoi caratteri fondamentali.

Con l’espressione divulgazione scientifica si indica l’attività di comunicazione rivolta al grande pubblico che concorre a diffondere la cultura scientifica senza specifiche intenzioni formative, per accrescere la percezione dell’importanza della scienza nell’ambito delle attività umane e rafforzarne il radicamento nella società.
Wikipedia

Ecco ora un rapido elenco dei caratteri che una buona divulgazione scientifica dovrebbe possedere:

1) Attendibilità

Significa solamente che quello che leggo è esattamente quello che anche la comunità scientifica crede a riguardo dell’argomento. Certo l’avverbio “esattamente” può risultare problematico, dato che neanche all’interno della comunità scientifica la pensano tutti allo stesso modo. E allora? Allora si tratta di un avverbio che va preso con le pinze, nel senso che SE una teoria (o un aspetto di essa) è ormai comunemente accettato dalla comunità scientifica allora si può parlare di essa in termini più rigidi, più definitivi, e quindi anche chi lo divulga può permettersi il lusso di parlare “a nome di tutta la comunità scientifica”.
Due esempi per chiarire le idee: la teoria della gravitazione di Newton e la teoria della discendenza con modificazioni di Darwin. I fisici e i biologi sanno che la gravità non è quella proposta da Newton e che l’evoluzione non segue esattamente i principi ipotizzati da Darwin, ma per un esterno, un non-scienziato, già conoscere BENE i principi fondamentali che sottostanno a queste due teorie sarebbe un ENORME conquista, perché si tratta di concetti molto complessi, spesso controintuitivi, e riuscire a farli propri è tutto meno che facile.
Diverso è il discorso che riguarda argomenti attuali, ancora al vaglio della comunità scientifica: se una teoria è in egual misura accettata e ripudiata dagli specialisti significa che un buon articolo divulgativo sottolinearà gli aspetti che portano il 50% degli scienziati ad accettarla e l’altro 50% degli scienziati a rifiutarla. Un articolo divulgativo che prendesse in esame solo una delle due posizioni sarebbe un pessimo articolo divulgativo.

2) Chiarezza

Questo è immediato da capire: un buon articolo divulgativo deve essere chiaro: significa che se un campione statisticamente significativo di persone (ad esempio 1000) lo leggesse, risulterebbe che la stragrande maggioranza di loro sarebbero d’accordo sul suo contenuto. In altre parole, un buon articolo divulgativo deve lasciare poco, pochissimo, spazio all’interpretazione personale. Quelli sono i libri di poesia, di metafisica, e NON gli articoli di divulgazione scientifica.
Un esempio in negativo: Voyager, tutt’altro che chiaro e definitivo sulle “teorie” che illustra, sempre pronto a lasciare aperta la porta del “Chissà…”, “Non si sa mai…”, “Chi può dirlo…”.

3) Attualità

Anche qui, facciamo attenzione: “attualità” non significa affatto che l’argomento trattato nell’articolo deve essere attuale nel senso che deve trattare solo argomenti di avanguardia scientifica e basta, anzi. “Attualità” nel senso che, anche se parla di teorie vecchie di secoli, l’autore deve tener conto di quali sono OGGI le posizioni su quelle teorie: se intendo fare un articolo divulgativo sulla tettonica delle placche (ex deriva dei continenti), non posso pensare di fare un riassunto del libro di LyellPrincipi di geologia”. Nel mio articolo dovrò scrivere quello che OGGI la comunità scientifica considera assodato riguardo di tale argomento.

4) Semplicità

Senz’altro uno dei caratteri fondamentali: se mi compro un libro divulgativo sulla teoria dei giochi di John Von Neumann e me lo trovo strapieno di “fomuloni matematici” e complessi riferimenti alla teoria degli automi cellulari sono contento?, lo percepisco come un buon libro divulgativo? Assolutamente no, e avrei anche ragione: lo scoglio maggiore per chi cerca di fare buona divulgazione scientifica è quello di tradurre in lettere e immagini tutto ciò che si presenta sotto forma di formule e numeri.
Non sempre è facile, certo, e qualche volta potrebbe addirittura non risultare possibile, eppure con questo aspetto ogni “divulgatore scientifico” (o aspirante tale) deve farci i conti: sia perché non ha senso parlare di divulgazione scientifica se si vuole scrivere un articolo di matematica avanzata, sia perché SE PROPRIO VOGLIO FARLO il mio destinatario è una persona che devo supporre al limite dell’analfabetismo sull’argomento che mi propongo di illustrargli.

5) Rigorosità

Argomento, questo, tanto caro al divulgatore scientifico per eccellenza: Richard Dawkins. Il suo primo libro divulgativo (Il Gene Egoista) è ancora oggi considerato come uno dei massimi esempi di ottima divulgazione scientifica e il suo impegno in questo settore (cioè l’alfabetizzazione scientifica della società) è stato talmente grande e universalmente riconosciuto che è stato proprio lui il primo a ricoprire il ruolo di docente nel corso intitolato Public Understanding of Science, a Oxford.
Rigorosità significa che sì, si deve fare in modo che il proprio lavoro sia accessibile a tutti (ovviamente anche “tutti” va preso un po’ con le pinze: significa “tutti coloro dotati di una buona istruzione”), e anche che sì, si deve cercare di essere il più chiari possibile, ma tutto questo facendo ATTENZIONE A NON BANALIZZARE LA SCIENZA, senza cercare cioè di saltare i passaggi più ostici (e badate che non parliamo di passaggi matematici, ma di passaggi logici, discorsivi).

Per oggi basta così: questa è la presentazione della rubrica “LSD – La Scienza Divulgata” con la quale vi illustrerò di volta in volta quelli che sono considerati i massimi capolavori di questa branca della narrazione.

[LSD, La Scienza Divulgata] è la rubrica a cura di @abbo che si occupa delle grandi opere di divulgazione scientifica.

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