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Matthias Grünewald

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San Sebastiano, di Matthias Grünewald, particolare.

A Grünewald non interessano che l’espressione e il movimento. La norma, la misura, le proporzioni della figura umana (che Dürer perseguì per tutta vita) non lo hanno certamente interessato molto. le sue forme fisiche sono per lo più brutte, malaticce, impossibili o almeno fuori dall’ordinario, anche quando non si sacrifichi niente all’espressione. I volti sono asimmetrici, quasi in ogni dipinto si riscontrano arbitrii di disegno che hanno una giustificazione artistica; oppure tralascia il modellato, come avviene negli schizzi. Già questo fatto, e l’arbitrarietà delle proporzioni, dimostrano che l’artista non si è lasciato turbare da ciò che è anormale.
H. A. Schmid

Oggi voglio parlarvi di Grunewald, un pittore, nonostante sia uno dei più interessanti, spesso sconosciuto e ignorato.
Mathis Gothart Nithart, conosciuto come Matthias Grünewald, è uno dei più importanti pittori tedeschi; probabilmente nato nel 1480 d.C., la sua identità è rimasta a lungo avvolta nel mistero. Il primo a chiamarlo tale è Joachim von Sandrart (definito il Giorgio Vasari tedesco), quando redasse il suo libro Accademia tedesca degli antichi architetti, scultori e pittori nel 1675; in realtà, il Matthias Grünewald, gli fu assegnato arbitrariamente nel 1629, quando Sandrart vide un suo San Giovanni (ora andato perduto), di proprietà del papa Urbano VII; fino ad allora quel quadro era attribuito ad Albrecht Dürer. La sua data di nascita oscilla tra il 1455 e il 1480, tuttavia, quest’ultima data è la più accreditata, perché, secondo alcuni studiosi, se fosse nato a metà ‘400, le sue opere risentirebbero maggiormente dello stile tardo-gotico ed è improbabile che un artista di età già molto avanzata, abbia iniziato un’opera maestosa come l’altare di Issenheim, terminata nel 1516.

Matthaes Grünewald, altrimenti detto Matthaes di Aschaffenburg, non la cede a nessuno dei migliori spiriti degli antichi tedeschi nella nobile arte del disegno e della pittura. È però da deplorare che questo mirabile artista, insieme con la sua opera, sia caduto in tale dimenticanza che non sono riuscito a trovare uomo vivente che mi potesse dare un minimo scritto o una notizia orale sulla sua attività; ma voglio dedicare ogni cura possibile per far sì che la sua eccellenza sia riportata in luce; altrimenti, credo che la sua memoria svanirà del tutto in pochi anni.
Joachim von Sandrart

Nel 1501 si trovava a Seligenstadt, dove lavorò, pur spostandosi frequentemente fino al 1516. Poco si sa della sua vita privata. In questo periodo soffre di malinconia e conduce una vita ritirata. Si sposa a tarda età, ma non c’è alcuna documentazione che lo confermi, se non il fatto che fece aggiungere il cognome della moglie Nithart. Lavorò come ingegnere idraulico, capomastro e pittore di corte dell’arcivescovo di Magonza, Uriel von Gemmingen. Dal 1516 lavorò per il suo successore, il principe Alberto di Brandeburgo. Oltre Simpatizzando per i luterani, nel 1526 dovette rifugiarsi a Francoforte, dove vive in miseria adattandosi a fare diversi lavori, come il venditore di balsami curativi o di colori. Due anni dopo, nel 1528 si trasferisce ad Halle, dove muore di peste.
La mancanza di documentazione su questo artista rende impossibile stabilire chi siano i suoi ispiratori; alcuni pensano si sia ispirato al suo quasi coetaneo Dürer o all’italiano Montegna, tuttavia nessuna dell’ipotesi vagliate riesce a spiegare la singolarissima costituzione di questa pittura, che sembra il frutto irripetibile e incomunicabile di una quasi feroce coerenza che investe non solo lo stile, ma la personalità stessa del maestro. Si potrebbe forse vedere nell’arte di Grünewald il più alto compimento e insieme la traduzione visionaria e fantasmagorica del Rinascimento nordica (cit. Piero Bianconi).
Viene considerato uno dei precursori dell’Espressionismo tedesco e, ai tempi della Germania nazista fece parte dell’arte degenerata. Nel dopoguerra Grünewald s’impose definitivamente come uno dei più grandi artisti di tutti i tempi.

La Crocifissione

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La Crocifissione costituisce uno dei pannelli dell’altare di Isenheim conservato nel Musée d’Unterlinden di Colmar. Dipinto tra il 1512 e il 1516, misura 269×307 cm e rappresenta Gesù Cristo appeso, per le mani inchiodate alla croce che, tese sopra la testa cinta da un corona di spine, si contorcono, su una croce che, ricavata da un albero tagliato rozzamente, è tesa dal peso del corpo che, martoriato e straziato, è già putrido; le ginocchia si torcono assieme ai polpacci e i piedi si accavallano trafitti da un enorme chiodo che ha tratto gli ultimi rivoli di sangue. Il Cristo viene rappresentato da Grünewald come un lebbroso dall’animo divino (cit. Oscar Wilde ne L’anima dell’uomo sotto il socialismo) e non come l’Adone
Alla destra della croce v’è Giovanni Battista, con un rozzo vestito rosso e con capelli e barba incolti che sorregge, con una delle mani, la Bibbia e l’indice enorme e sproporzionato indica il corpo del Messia, recitando Illum oportet crescere, me autem minui, ovvero Lui deve crescere mentre io devo diminuire, scritto dietro in rosso e tratto dal Vangelo di Giovanni 3,30, in cui Giovanni Battista afferma di esser stato mandato per annunciare la venuta del Messia. Ai suoi piedi c’è una agnello, l’Agnello di Dio (il simbolo di Gesù) dal cui petto, trafitto da una croce, sgorga sangue raccolto da un calice (Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi.» [Lc 22,20]).
Dall’altra parte c’è la Madonna che, vestita come una monaca, si abbandona pallida nelle braccia di San Giovanni, vestito di rosso. Una minuta Maddalena, nel suo ampio manto color rosa, si contorce ai piedi della croce tendendo le mani giunte verso la croce. La Maddalena, non più avvenente e apparentemente invecchiata che si tende come un arco e guarda angosciata il corpo martoriato di Cristo.
Nello sfondo, pare che anche la natura sia putrida come il corpo di Cristo.
Grünewald, secondo alcuni, in quest’opera esprime la sua acme esistenziale (come Munch nell'Urlo; tuttavia non c’è un solo passaggio della tavola che non sia stato programmato a tavolino con l’abate della chiesa a cui era destinata l’opera e che abbia anche un significato teologico. Ad esempio, visto che l’opera era destinata alla cappella di un’ospedale che ospitava i malati di peste, l’artista accentuò i segni delle sofferenze sul corpo di cristo cancellandoli poi quasi completamente in Resurrezione (altro pannello dell’altare), per dare speranza ai malati.

Davanti a quel Calvario imbrattato di sangue e annebbiato di lacrime, si era ben lontani da quei bonari Golgota che, a partire dal Rinascimento, la Chiesa ha adottato! Quel Cristo titanico non era il Cristo dei ricchi, l’Adone di Galilea, il bellimbusto pieno di salute, il grazioso giovane dai riccioli fulvi, dalla barba spartita, dai lineamenti cavallini e scipiti, che i fedeli adorano da quattrocento anni. Quello era il Cristo di san Giustino, di san Basilio, di san Cirillo, di Tertulliano, il Cristo dei primi secoli della Chiesa, il Cristo volgare, laido, avendo assunto su di sé ogni peccato e rivestito, per umiltà, le forme più abbiette. Era il Cristo dei poveri, colui che s’era fatto simile ai più miserabili fra quelli che veniva a riscattare, ai disgraziati e ai mendicanti, a tutti coloro sulla cui laidezza o indigenza s’accanisce la viltà dell’uomo; ed era anche il più umano dei Cristi, un Cristo dalla carne triste e debole, abbandonato dal Padre che non era intervenuto se non quando nessun nuovo dolore era più possibile. Il naturalismo non s’era mai arrischiato a trattare simili temi. Grünewald era il più forsennato degli idealisti; in quella tavola si rivelava il capolavoro di un’arte costretta, piegata a rendere l’invisibile e il tangibile, a mostrare l’immonda desolazione del corpo, a sublimare lo sgomento infinito dell’anima.
J. Huysman

Tentazioni di Sant’Antonio

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Il posto sembrò esser sconquassato da un terremoto, ed i demoni, quasi abbattessero le quattro mura del ricovero sembravano penetrare attraverso esse, ed apparire in forma di bestie e di cose striscianti. Il posto si riempì improvvisamente di forme di leoni, orsi, leopardi, tori, serpenti, aspidi, scorpioni, ed ognuna di esse si muoveva in accordo alla sua natura.
Atanasio di Alessandria

La Tentazioni di Sant’Antonio, dipinto tra il 1512 e 1516 e facente parte dell’altare di Isenheim, narra dell’eremita Sant’Antonio mentre viene assalito in modo caotico da un groviglio figure mostruose e demoniache (simili a quelle di Bosch); dietro, i ruderi di un rifugio e degli alberi rinsecchiti sono in fiamme. Nel cielo, un angelo, avvolto da un’aurea di luce si avvicina, per sollevare Sant’Antonio dalle sue sofferenze. In basso a sinistra, v’è un uomo con un cappuccio rosso che, col ventre gonfio e coperto di bubboni, volge lo sguardo al cielo, pronunciando le parole contenute nel cartiglio a destra: Bone Jhesu, ubi eras, quare non affuisti ut sanares vulnera mea?.

Grünewald fu certo un temperamento più geniale, nel senso romantico della parola. Ciò non significa affatto più grande, ma vuole indicare piuttosto un diverso tipo di grandezza. La fantasia di un Dürer non è meno alta di quella di un Grünewald, ma per spiccare il suo volo ha bisogno di una larga piattaforma cementata di esperienza tecnica, di pensiero e di cultura. Mentre in Grünewald essa si lancia subito altissima come per un’accensione improvvisa, e le sue creazione hanno sempre qualcosa di fulmineo e di folgorante. D’altronde Grünewald dovette pagare il tributo di questa sua genialità: gigantesca e solitaria, la sua arte non fu produttiva, nel senso che non ebbe dirette conseguenze storiche.
R. Salvini

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Fonti

Wikipedia | Matthias Grünewald
Piero Bianconi | L’opera completa di Grünewald

Mr. Turner: Tre cose che mi sono piaciute
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H.R. Giger RIP
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Jackson Pollock: Il pinnacolo dell'arte pura
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Otto Dix
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James Ensor
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