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Patografia – Genialità e malattia nella storia e nella letteratura

“E’ il genio, come una perla nell’ostrica, solo una splendida malattia?”
(Heinrich Heine)

Premessa

Ritengo doveroso premettere che nonostante a mio avviso sia curioso e stimolante scavare nella storia clinica dei grandi personaggi, studiarne la “patografia” e riconoscere (o ipotizzare) elementi che aiutano a spiegarne le gesta, gli atteggiamenti, le opere, sarebbe una notevole forzatura pretendere di poter ridurre il loro operato esclusivamente a un effetto del loro stato di salute. Sarebbe, ad esempio, riduttivo attribuire l’eziologia del pensiero pessimista di Leopardi (tanto caro ai professori di lettere) esclusivamente ai suoi acciacchi fisici.

Evitando le esagerazioni, come nel caso di Freud, il quale sosteneva che la biografia di un personaggio non è completa se non prende in considerazione anche la sua vita sessuale, bisogna però ammettere che questo genere di informazioni, spesso omesse nelle biografie, ci permettono di avere un punto di vista aggiuntivo nello studio di illustri personaggi, aiutandoci anche nella comprensione delle loro opere.

In generale non si può dire che la sofferenza da sola riesca a produrre grandi personaggi, ma se un mal di testa o un mal di denti possono rovinare le nostre giornate e se una malattia – specie se cronica o dolorosa – può addirittura condizionare nella quotidianità la nostra vita di “comuni mortali”, a maggior ragione influenza quella di un artista, un politico, un musicista, uno scrittore, un grande uomo d’affari, che ha impegni e responsabilità maggiori dell’uomo comune. Pertanto, in tali condizioni, l’ispirazione per un’opera d’arte, la decisione in merito a questioni importanti, il proprio comportamento davanti al prossimo o al pubblico in occasione di sedute, discorsi, riunioni, ecc., ne risentiranno ancor più che di norma.
Inoltre, mentre un qualsiasi individuo può talora, in caso di sofferenza, procrastinare i propri impegni, chi riveste il ruolo di personalità è spesso obbligato a svolgerli ugualmente: e la sofferenza può indurlo a prendere vie non conformi a quelle che avrebbe intrapreso se si fosse trovato in pieno benessere.

Genialità e malattia nella storia e nella letteratura

“Il nostro è un tempo che persegue consapevolmente la salute, ma in effetti crede solo nella realtà della malattia […] Kleist, Kierkegaard, Nietzsche, Dostoevskij, Kafka, Baudelaire, Rimbaud, Genet, Weil hanno autorità su di noi precisamente a causa della loro aria malsana”.

Così ha scritto Susan Sontag (saggista, scrittrice e regista statunitense) proponendo un primo elenco di scrittori notoriamente malati. Ma non è difficile prolungarlo. Come non citare, per esempio, la lunga follia di Nietzsche, l’agonia di Leopardi, la tubercolosi di Keats, la cecità di Omero, la xantopsia di Van Gogh? Quel che più conta in letteratura, come in altri campi artistici, è però l’opera non la biografia. Come distinguere i piani? In realtà la malattia è uno dei temi universali che hanno caratterizzato, ora più ora meno, la storia della letteratura di tutti i popoli.

Le ragioni di questa presenza sono evidenti: la peripezia, come già sapeva Aristotele, è il motore indispensabile di qualunque narrazione; e la malattia, insieme al viaggio, all’amore, alla guerra, all’irruzione del divino, ne costituisce una delle esperienze fondamentali. Inoltre, essa è più arbitraria, più imprevedibile, più improvvisa di altre, e dunque costituisce un potente strumento di ordinamento, intreccio e scioglimento della narrazione. Ha poi spesso una connotazione morale, e consente dunque di aggiungere valore o disvalore alla trama e ai personaggi. Il suo rilievo simbolico è evidente: l’infermità del corpo allude sempre a una perdita di integrità della persona, a una “ferita del sé”.

E’ anche per questi motivi che in alcuni periodi della storia della letteratura, il malato, non disponendo di sé, è stato considerato in qualche misura prigioniero, ridotto a una condizione di inferiorità sociale. Ma la suddetta “ferita del sé” provocata dalla perdita di integrità della persona è stata interpretata in altri periodi, in particolare durante il decadentismo, come un vero e proprio squarcio nella razionalità attraverso il quale osservare da un punto di vista privilegiato la vera essenza della realtà.

Tra le varie tematiche trattate dalla letteratura decadente, come la perversione, la crudeltà e la morte, troviamo anche, unite alle altre dal sentimento di rifiuto della normalità che unisce tutti gli artisti decadenti, quelle della nevrosi e della malattia in genere. E’ interessante notare come le “teorie” degli studiosi moderni, come i dottori Peter Wolf e Luciano Sterpellone, su come la malattia possa influire sulla vita dell’uomo e sul suo operato, giungano a conclusioni simili a quelle dei decadenti, formulate direttamente o ricavabili dalle loro opere, che si sono occupati di questo tema.

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– La nevrosi è una costante che segna tutta la letteratura decadente, e spesso viene tematizzata direttamente in personaggi di romanzi, drammi e poesie (dal Des Esseintes di Huysmans al protagonista del Trionfo della morte di D’Annunzio, ai nevrotici eroi sveviani), ma – al di là di questo – costituisce una vera e propria atmosfera che avvolge l’intera cultura di questa età, il punto da cui sembra che tutto il reale sia osservato.

– Per quanto riguarda invece la malattia in genere, altro gran tema della letteratura decadente, da un lato essa si pone come metafora di una condizione storica, di un momento di crisi profonda, dall’altro lato la malattia diviene condizione privilegiata, segno di nobiltà e di distinzione, di quella separazione sprezzante verso la massa che contrassegna l’aristocraticismo degli intellettuali di questa età, appare come uno stato di grazia, come lo strumento conoscitivo per eccellenza. I “superuomini” dannunziani, come Claudio Cantelmo ne Le vergini delle rocce, sono attratti dalla malattia e dalla putredine, elementi importanti in quanto fungono da impedimento al raggiungimento degli scopi superomistici. Per contro ne La coscienza di Zeno sveviana la malattia è vista come fonte di una comprensione più acuta della realtà, in contrapposizione con la salute che non conosce se stessa (anche se, come è noto, per Svevo l’esperienza decadente è solo il punto di avvio, la lucida consapevolezza ironica con la quale tratta anche il tema della malattia e dell’inettitudine lo colloca già al di là del Decadentismo).

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La diffusione, nella letteratura decadente, della convinzione che l’artista e il genio siano biologicamente differenti dalla gente comune deriva soprattutto da teorie diffuse in quel periodo dalle scienze positiviste. Uno dei più celebri autori di queste discutibili teorie fu il dottor Cesare Lombroso (1835-1909), antropologo e psichiatra che, concentrando i suoi studi sulla fisiognomica (basandosi sulla teoria evoluzionistica di Lamarck), rivoluzionò, tra le altre cose, le scienze investigative dell’epoca, contribuendo a far aumentare i pregiudizi verso certe categorie di persone (come i neri, gli slavi e, in Italia, i meridionali).

Per quanto riguarda la genialità, Lombroso riteneva che fosse una forma di malattia mentale, solitamente accompagnata da forme di degenerazione fisica e morale e gli artisti decadenti, molti dei quali erano omosessuali o malati (spesso di sifilide), erano propensi ad accettare tale diagnosi, vedendo la degenerazione come un prezzo da pagare per i loro eccezionali poteri artistici.

Il tema della malattia è stato largamente trattato anche da autori vissuti durante epoche segnate da una qualche epidemia e, più in generale, dalla letteratura medica (antica praticamente quanto l’invenzione della scrittura). Ma i risultati più brillanti e maggiormente interessanti in questa sede ci derivano dagli autori, dagli artisti e dai pensatori che sono venuti in intimo contatto con un morbo, provandolo su loro stessi o osservandone gli effetti sui loro cari.
E’ proprio da queste esperienze che, in alcuni casi, certi personaggi hanno acquistato una cognizione di causa e una sensibilità tali da consentire loro di esplorare certi campi, quali appunto quelli della malattia, della follia e del dolore, con una conoscenza e una profondità probabilmente non ottenibili dall’individuo sano.

In letteratura, come in altri campi della cultura, le opere di questi personaggi possono essere influenzate dalla malattia in modo diretto, quando ad esempio si tratta di autobiografie o opere in cui un personaggio è affetto dal morbo che ha segnato l’esistenza dell’artista che lo crea, oppure, come più spesso accade, in modo indiretto. Nel primo caso l’associazione esperienza-opera risulta molto spesso diretta, mentre nel secondo caso le analogie si fanno più sottili ed è necessario prestare attenzione al fine di non fare collegamenti forzati.

Queste tesi, come già accennato, sono appoggiate da numerosi studi effettuati tra gli altri dal dott. Luciano Sterpellone, patologo clinico e divulgatore scientifico, autore di numerosissime “patografie” riguardanti alcuni tra i più illustri personaggi della storia, e dal dott. Peter Wolf, direttore del Dipartimento di patologia e di medicina di laboratorio dell’Università della California di San Diego. Il dottor Wolf in un suo studio, basandosi anche su studi effettuati su alcuni personaggi della storia della cultura (analizzati tenendo conto delle loro malattie, delle loro opere e delle moderne tecniche di diagnosi e trattamento dei loro disturbi), ha portato avanti la tesi che, in sintesi, afferma:

“The associations between illness and art may be close and many because of both the actual physical limitations of the artists and their mental adaptation to disease. Although they were ill, many continued to be productive. If modern clinical chemistry, toxicology, and haematology coagulation laboratories had existed during the lifetimes of these various well-known individuals, clinical laboratories might have unravelled the mysteries of their afflictions. The illnesses these people endured probably could have been ascertained and perhaps treated. Diseases, drugs, and chemicals may have influenced their creativity and productivity.”

Si ribadisce quindi la necessità di non estremizzare certe teorie, che sicuramente ci possono aiutare ad interpretare l’operato di certi personaggi, ed evitare di credere che un’analisi clinica dei loro “malanni” possa riassumere tutta la loro grandezza, conme ho scritto anche nell'articolo sulla patografia di Vincent van Gogh.
Forse la verità sta nel mezzo.

Bibliografia e sitografia

– STERPELLONE L., Famosi e malati, Torino, S.E.I., 2005
– STERPELLONE L., PAZIENTI ILLUSTRISSIMI, Delfino, 1997
– G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo, Milano, Paravia, 2003
– WOLF P., The Effects of Diseases, Drugs, and Chemicals on the Creativity and Productivity of Famous Sculptors, Classic Painters, Classic Music Composers, and Authors, Archives of Pathology and Laboratory Medicine: Vol. 129, No. 11, pp. 1457–1464
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