Il truce Sergetto

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Le donne conquistate dal fascino truce:
Attende­va, ormai, con quel braccio spezza­to il suo congedo; e molti sfregi avea nel volto, e il ciuffo diradato dall’el­mo, e in mezzo al naso un grossissi­mo porro; e un male acuto gli facea sempre gocciolare un occhio. Ma un gladiatore egli era! Sergetto si chiamava!

L’amore nell’antica Roma quando i gladiatori erano come i calciatori.
Viaggio in una concezione dell’eros basata sul culto della virilità.

Che nell’antica Roma l’emancipazione femminile non fosse un fatto di élite, ma avesse toccato anche le donne delle classi meno alte, è chiaramente mostrato dai reperti. Le donne oltre a frequentare i teatri, assistevano ai giochi dei gladiatori, ai quali pare si appassionassero non tanto per i giochi in sé quanto per i gladiatori; i quali, se sopravvivevano alle loro non facili esibizioni, diventavano le star dell’epoca — un po’ come i calciatori di oggi, o come i cantanti rock, ammirati e amati dalle donne di ogni ceto sociale.

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I graffiti non lasciano spazio a dubbi. “Il trace Celado fà sospirare le ragazze” si legge nella caserma dei gladiatori. Addirittura da un’altra parte è possibile leggere che il Crescente, un reziario (vale a dire un gladiatore specializzato nei combattimenti con le reti) era “il medico notturno del­le ragazze”. E ancora oltre “Hic ego puellas multas futui. ” e ancora tanti altri graffiti, nell’antica Roma era di uso comune scrivere sui muri.

Altro che veline e calciatori erano le donne del tempo, anche le donne più abbienti non resistevano. Giovenale racconta di una matrona, tale Eppia, moglie di un senatore, che abbandona tutto e fugge ad Alessandria, lasciò la casa e la famiglia per seguire il gladiatore Sergetto di aspetto dimesso e dal volto sfregiato. Quest’ultimo pare non avesse avuto neanche particolare fortuna durante l’esibizioni.

L’autore latino infatti scrive, alludendo proprio a Sergetto: “che attende­va, ormai, con quel braccio spezza­to il suo congedo; e molti sfregi avea nel volto, e il ciuffo diradato dall’el­mo, e in mezzo al naso un grossissi­mo porro; e un male acuto gli facea sempre gocciolare un occhio. Ma un gladiatore egli era!“.

Per lui, dice Giovenale, anche se era stata abituata da bambina a ogni lusso, e anche se faceva grandissime difficoltà se il marito tentava di farla salire su una nave, Eppia aveva sfidato le onde, seguendolo fino in Egitto: quel Sergetto non doveva essere ributtante come Giovenale lo descrive. La patologica misoginia del poeta emerge anche in questi versi, e si conferma quando, generalizzando il comportamento di Eppia, scrive che quelle che a un amante van dietro, hanno stomaco di bronzo, quella vomita addosso al suo marito, questa tra i marinai mangia e passeggia su e giù per la nave e si compiace nel maneggiare i ruvidi cordami.

Erano molto preoccupati, i romani. Nonostante l’impegno che avevano messo, e che continuavano a mettere, nell’opera di educare le donne alla virtù, erano stati costretti a rendersi conto che qualcosa dovevano aver sbagliato. A cavallo tra il I secolo avanti e il I secolo dopo Cristo, vedevano la città popolata da donne i cui costumi avrebbero fatto inorridire i loro antenati. Delle libertà (alcune delle quali concesse da loro stessi, massima delle beffe) le donne non si limitavano a fare un uso discreto, capace di non sconvolgere le antiche abitudini: ne abusavano, ne approfittavano in modo indecente. Questo pensavano i romani. A loro non piacevano proprio le donne emancipate. Per loro, l’emancipazione era un pericolo sociale.

Ma perché avevano paura delle donne, i romani? Cosa temevano? In primo luogo, che volessero comandarli (come, secondo i poeti satirici, ormai facevano senza un minimo di ritegno). Soprattutto se erano ricche. Un timore diffuso, che Marziale dichiara apertamente: Donna ricca sposare? No. Perché, mi domandate? Perché voglio sposare, non essere sposato. La moglie, Prisco, sia soggetta al marito: è la sola eguaglianza possibile tra i due. Più chiaro di così. Comandano, pretendono. Ormai, sono convinte che avere un amante sia un loro diritto. Alcune arrivano a pensare che limitarsi a uno solo sia quasi una concessione al marito.

Fortunatamente (per loro) le donne continuarono nella emancipazione che le ha viste sempre più libere di scegliersi una vita colorata piuttosto che autoctona e ghettizzata, grazie a Sergetto.

Fonte: Graffiti latini Scrivere sui muri a Roma antica e “L’amore nell’antica Roma quando i gladiatori erano come i calciatori. Viaggio in una concezione dell’eros basata sul culto della virilità.” di Eva Cantarella

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