Modelli cromatici e spazi di colore

Bentornati alla settima sesta puntata di Colorama!
Sommario delle puntate precedenti: 1, 2, 3, 4 e 5.

Possiamo iniziare la seconda parte di questa rubrica chiarendo un concetto fondamentale: uno spazio di colore è una particolare istanza di un modello cromatico.

Mentre quest’ultimo è infatti un modello matematico astratto, che descrive un modo per rappresentare i colori come combinazioni di alcuni numeri, o come funzione di alcuni parametri, uno spazio di colore specifica le regole esatte che permettono di utilizzarlo nella realtà.
Spesso tuttavia, si utilizza nel linguaggio comune il termine “spazio di colore” anche per indicare il modello ad esso collegato.

Tecnicamente parlando quindi, l’RGB, ad esempio, è un modello cromatico, mentre Adobe RGB, sRGB, ISO RGB ed Extended RGB sono spazi di colore (diversi) basati sul modello RGB.

Esistono altri spazi di colore oltre a quelli derivati dall’RGB, come HSB, HSV, HSL, oppure gli spazi per gli standard televisivi quali YUV (utilizzato per lo standard europeo PAL), YiQ (standard americano NTSC), YDbDr (standard francese SECAM). Esistono poi gli spazi puramente pittorici, come quelli di Itten o di Kandinski.

Essendo tuttavia la scelta molto vasta, e le differenze talvolta minime, ci limiteremo in questa puntata a esporre i principi generali degli spazi (modelli) di colore storicamente piu’ importanti, che portarono all’evoluzione dei modelli utilizzati ancora oggi.

Per semplificare, possiamo inoltre considerare i termini spazio/modello interscambiabili, come nel linguaggio comune.

La sfera di Runge

Storicamente, il primo (dopo Aguilonius) a esplicitare un modello astratto che descrivesse un modo per rappresentare i colori e le loro combinazioni, fu il pittore tedesco Philipp Otto Runge, contemporaneo di Goethe, e dal quale quest’ultimo, come abbiamo visto, trasse ispirazione per la sua teoria.

Al di là di qualsiasi considerazione scientifica sulle sintesi additive e sottrattive, Runge costruì un modello esclusivamente pittorico, che si limitava a organizzare in modo ragionato i vari colori visti e dipinti.

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La sfera di Runge, primo modello cromatico tridimensionale, poneva sull’asse verticale le varie graduazioni di chiaro/scuro, introducendo in tal modo il concetto di saturazione del colore.

Sulla fascia centrale della sfera erano riportati i colori alla loro massima saturazione, ovvero i colori più puri, che andavano dal giallo al verde, passando per l’arancio, il rosso, il viola e il blu.

Salendo verso l’alto i colori tendevano sempre più al bianco, così come tendevano al nero allo scendere verso il basso. Leggendo il modello tridimensionalmente, inoltre, ogni settore tende al grigio man mano che si sposta verso il centro della sfera.


Nell’immagine: rappresentazione grafica di una sfera di Runge

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Primo tra tutti i modelli cromatici, pur nella sua semplicità e completa inutilità pratica, la sfera di Runge fissò i fondamenti concettuali di tutti i successivi modelli cromatici, scientifici o artistici che fossero.

Il cerchio di Chevreul

Molto tempo dopo, nel 1839, il chimico francese Michel-Eugene Chevreul, studiando i pigmenti delle tinture dei tessuti, scoprì i principi del contrasto simultaneo (come abbiamo visto nella quarta puntata), e realizzò un modello cromatico finalizzato ad un utilizzo pratico: il cerchio dei colori.

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In esso pose 72 sfumature di colore alla loro massima saturazione, disposte sistematicamente in modo tale che ognuna avesse, all’opposto del cerchio, il proprio complementare.

Sopra: cerchio di Chevreul.

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Nelle intenzioni di Chevreul, egli voleva soltanto fornire uno strumento in grado di apportare un ausilio pratico a chi per mestiere, si fosse trovato a lavorare coi colori, come i pittori, i tintori di tessuti o i tipografi.

Così facendo, tuttavia, diede inizio a una serie di modelli scientifici sempre più dettagliati, che avrebbero portato un giorno alla creazione della disciplina oggi conosciuta come colorimetria, che si occupa della misurazione oggettiva dei colori.

Il doppio cono di Ostwald

Dopo quello di Chevreul, il numero dei modelli cromatici scientifici crebbe rapidamente. Ci limiteremo quindi a illustrare solo i principali, per arrivare a quelli tutt’oggi utilizzati in qualche applicazione pratica.

Uno di questi fu il doppio cono proposto dal chimico tedesco Wilhelm Ostwald.

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In questo modello, in maniera praticamente identica alla sfera di Runge, i colori più saturi sono posti sul cerchio alla base dei due coni, e le diverse (8) graduazioni di grigio dal bianco al nero sull’asse verticale.

Il cerchio equatoriale del doppio cono è diviso in 24 settori, 3 per ogni graduazione di un colore primario: giallo arancione, rosso, porpora, blu, celeste, verde-azzurro e verde.

I settori sono disposti in modo da avere ognuno il suo complementare all’opposto del cono, come nel cerchio di Chevreul, e la saturazione è massima al tendere verso l’esterno.


Sopra: esempio di doppio cono di Ostwald

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La differenza principale con la sfera di Runge, sta nel fatto che mentre questa era soltanto una rappresentazione puramente concettuale, artistica, il modello di Ostwald era un sistema campionario, uno strumento che permetteva, seppur ancora in maniera approssimativa, di misurare i colori.

L’albero di Munsell

Un modello simile a quello di Ostwald, fu l’albero dei colori del pittore americano Henry Munsell, che fu pubblicato nel suo (relativamente) conosciuto Atlante dei Colori.

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Nel caso di Munsell, ogni singolo colore viene rappresentato da una combinazione di tre paramentri: H (hue), V (value) e C (chroma).

Il parametro H esprime la tonalità base del colore, scelta tra dieci possibili , con cinque tonalità principali (blu, verde, giallo, rosso e viola) e cinque intermedie (giallo-rosso, giallo-verde, blu-verde, blu-viola e rosso-viola).

Per ogni valore H ci sono 10 possibili valori V, che indicano 10 possibili misure di luminosità di quel colore, disposti lungo l’asse verticale, che spazia dal bianco al nero passando per il grigio man mano che ci si avvicina al centro.

Il parametro C misura la saturazione del colore, che cresce verso l’esterno dell’albero, e il suo valore massimo varia da tonalità a tonalità.

Le dieci tonalità di Munsell, spesso, vengono suddivise ulteriormente per creare alberi più accurati. In tal caso, si utilizza una notazione decimale, per indicare le frazioni di settore originario.


Nell’immagine sopra, e nell’header image: albero di Munsell
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Il sistema di Munsell è stato per molto tempo utilizzato come modello cromatico nell’industria tintoria e tutt’oggi, seppur rimpiazzato da modelli più dettagliati, e in grado di offrire una miglior resa cromatica, gode di una buona diffusione.

Chiudiamo qua questa breve panoramica, che voleva solo fungere da introduzione alla grande varieta’ di modelli sviluppati nel corso dei secoli.

Dalla prossima puntata cominceremo a parlare di cose di più diffuso utilizzo pratico, anche nell’informatica, cominciando da un concetto importante: la sintesi additiva.
Hasta pronto xic@s :) !

Fonti:
Fotografia Digitale”, Rob Sheppard, 2004
Daicolor
Dispense di LM2, M.A. Alberti, Unimi
Articoli vari su CG, G.B.Saccone

[Colorama] e’ una rubrica a cura di @gigiopix sui colori e sulla percezione visiva.

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