L’architettura della produzione di oppio

[…] these particular reproductions were taken from an article exploring the economic and infrastructural marvels of the Indian opium trade in an 1882 supplement to Scientific American.

Queste litografie sono una riproduzione di alcune apparse nel 1882 in un articolo di supplemento della rivista Scientific American in cui veniva raccontato il processo produttivo dell’oppio indiano, all’epoca ancora un monopolio in mano all’Impero Britannico.

Examining Hall
[more]Nella stampa in alto è riprodotta la Examining Hall dove veniva testata semplicemente la consistenza dell’oppio appena raccolto, ancora non lavorato: si procedeva all’analisi tattile\manuale oppure si testava la consistenza della massa con un bastone. Veniva poi prelevato un campione per ogni pentola per sottoporlo a ulteriori analisi di consistenza e purezza all’interno del laboratorio chimico.[/more]

Mixing Room
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In questa immagine possiamo vedere la Mixing Room rassomigliante a un bagno pubblico della Grecia. Qui, il contenuto delle pentole veniva sversato nelle vasche in cui, con un rastrello, si mescolava la massa fino a farla diventare una pasta omogenea.[/more]

Balling Room
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Qui è riprodotta la High-Ceiling Balling Room dove la pasta di oppio, con aggiunta di acqua, veniva appallottolata in piccole sfere, avvolte in petali di papavero. Gli abilissimi operai addetti a questa operazione avevano in dotazione un tavolino, uno sgabello e una tazza per mescolare la pasta e darle forma: erano capaci di fabbricarne anche più di 100 ogni giorno.[/more]

Drying Room
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Le palle di oppio venivano trasferite nella Drying Room, la camera di asciugatura, dove, disposte in ordine rigoroso, si lasciavano a riposo per liberarle dall’acqua in eccesso. Come si può vedere dalla figura, un operaio era incaricato di perforare con un bastoncino appuntito le sfere in modo da far defluire il gas prodotto dalle fermentazioni microbiche.[/more]

Stacking Room
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Una volta conclusasi l’asciugatura, le palle di oppio venivano conservate nella Stacking Room, prima di essere spedite. Qui, un gran numero di operai era incaricato del controllo continuo: le palle venivano così girate, areate ed esaminate a intervalli regolari. Per pulirle dagli insetti e dal sudiciume, le sfere erano strofinate con la polvere ottenuta dalla macinazione dei petali secchi di papavero. Erano così pronte per la spedizione verso Calcutta.[/more]

Amitav Ghosh, scrittore indiano, spiega in un’intervista:

Le fabbriche dell’oppio di Ghazipur e Patna hanno prodotto insieme il benessere della Gran Bretagna. È sconvolgente pensare al fatto che l’Impero Britannico è stato davvero fondato sull’oppio.

Le sue dichiarazioni sono basate su constatazioni reali, in quanto le due fabbriche, sin dalla loro fondazione avvenuta nel 1820, hanno generato un immane profitto. La Cina esportava tè in quantità tali che l’oppio venne scelto come contromossa perchè il debito inglese stava crescendo troppo, la scena si ribaltò al punto che Hong Kong divenne di proprietà inglese, poi restituita pochi anni fa.
Attualmente la quantità di oppio prodotta è circa 13’000’000 di libbre annue e non essendoci alcun tipo di restrizione, i margini di guadagno sono enormi. Attualmente le fabbriche sono ancora in attività e sono state ammodernate e funzionalizzate: i maggiori importatori di oppio sono gli Stati Uniti e il Giappone, che hanno scalzato dal primato l’ex USSR dopo la sua caduta.

Letture consigliate:
In a Opium Factory, di Rudyard Kipling (1888)
Sea of Poppies, di Amitav Ghosh (2010).
The Ghazipur And Patna Opium Factories Together Produced The Wealth Of Britain, intervista con Amitav Ghosh (2010).
Opium Report dal Bihar Times (2010)
The Architecture of 13,000,000 Pounds of Opium Production, Ptak Science Books (2011)
Why opium is more economically attractive to Afghan farmers da Global Envision (2009)

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