Bonobo Power!

LEGANERD 040465

Come promesso ieri qui, eccovi l’articolo sul Bonobo. ;)

Il Bonobo (nome comune del Pan Paniscus) è una delle quattro grandi scimmie antropomorfe e come l’etimologia suggerisce (dal greco: ànthropos, “uomo” e morphè, “forma”) assieme allo scimpanzé, al gorilla e all’orango è l’animale con cui condividiamo la più alta percentuale di codice genetico: le stime sono variabili ma mediamente si aggirano attorno al 95% per lo scimpanzé e il bonobo, mentre sono significativamente più basse sia per il gorilla che per l’orango (non vi riporto un dato perché qui la variabilità è piuttosto alta).
[Prima di proseguire, ecco due piccoli appunti da tenere da parte: il primo è che lo scimpanzé è l’unico altro animale ad appartenere alla classificazione Pan, con l’aggiunta della specifica Troglodytes; il secondo appunto è notare il fatto significativo che orango-tango è la latinizzazione delle parole indigene oran-gutan, che significano proprio uomo-della-foresta].

Il fatto che la percentuale di codice genetico che condividiamo con gli scimpanzé e con i bonobo sia così simile giustifica il fatto che il bonobo, dal momento della sua “scoperta” (che risale a cavallo tra l’800 e il ‘900) sia stato inizialmente considerato come una variante locale dello scimpanzé comune, per essere riconosciuto come una specie a sé stante solo nel 1929, dall’anatomista tedesco Ernst Schwarz che riconobbe in alcuni crani conservati nel museo di Tervuren, in Belgio, differenze anatomiche significative a tal punto rispetto al comune scimpanzé che fece notare alla comunità scientifica dell’epoca come fosse sbagliata la classificazione del tempo.
[Altro appunto: sono parecchi anni che all’interno della cerchia degli addetti ai lavori per quanto riguarda la classificazione tassonomica si è aperto un curioso dibattito: data la somiglianza sconcertante tra uomo e specie appartenenti al genere Pan, non sarebbe il caso di “promuovere” anche bonobo e scimpanzé al rango di Homo oppure, al contrario, di abbassare l’uomo al genere Pan? Staremo a vedere..]

Perché un articolo sul bonobo?
Dal momento della sua vera scoperta (1929) il bonobo è rimasto praticamente sconosciuto anche alla comunità scientifica fino agli anni ’70, momento in cui un ambizioso progetto di ricerca giapponese fondò il primo importante centro di ricerca sul campo, nel villaggio di Wamba, in Congo (solo in questa piccola regione del Congo vivono i bonobo infatti ed è proprio la piccolissima estensione del loro habitat che ne minaccia la scomparsa). Tale centro di ricerca è tutt’oggi la prima e più autorevole fonte di informazioni a riguardo di questa specie e da lì è partito tutto l’interesse verso questi animali così simili (eppur così diversi, vedremo perché) a noi.

Il fatto che questa scimmia antropomorfa sia rimasta a lungo inosservata permise all'etologo Frans De Waal di intitolare uno dei suoi primi libri divulgativi a riguardo come Bonobo, la scimmia dimenticata e proprio grazie a questo autore il mondo intero puntò i riflettori su questa “nuova” specie di grande scimmia. Da allora, si parla della fine degli anni ’90, i bonobo hanno ricevuto una quantità esagerata di attenzioni mediatiche perché, anche (e soprattutto) grazie ai libri del professor De Waal, le caratteristiche salienti della vita di questa specie stuzzicano la curiosità dei non-addetti ai lavori ma anche la riflessione antropologica e politica di chi ha le mani in pasta quotidianamente con affari di etologia comparata.

Che significa etologia comparata? E’ molto semplice: significa cercare di capire il perché di alcuni nostri comportamenti (sociali o individuali) a partire dall’osservazione delle cause che spingono i nostri cugini pelosi a compierne di simili.

Infatti dalla formulazione della teoria dell’evoluzione ha cessato di esistere quella visione del mondo statica e netta che differenziava una specie dall’altra e le metteva in fila dalla “meno evoluta” alla “più evoluta” secondo caratteristiche che, come si suol dire, peccavano non poco di antropocentrismo (si tendeva cioè a mettere l’uomo al centro di tutto: della storia, della natura, dell’universo..). Oggi grazie a Copernico sappiamo che la terra non è il centro dell’universo e grazie a Darwin sappiamo che la natura non si è “organizzata” per preparare l’eroica venuta del genere umano: semplicemente, come direbbe Mara Maionchi: NO!

Il mondo organico non è statico e invariabile ma che tutto ciò che siamo e che facciamo ha dei precedenti storico-evolutivi la cui ricostruzione (anche solo approssimativa) è in grado di svelarci segreti di noi stessi che nemmeno la più profonda psicanalisi riuscirebbe mai a districare e a giustificare senza ricorrere a incubi infantili e a traumi rimossi (voulez-vous flammé avec moi?).

Ecco quindi che il bonobo diventa la punta di diamante per tutti gli etologi-antropologi convinti che l’uomo non sia intrinsecamente cattivo (qualcuno ricorda il vecchio ritornello Hobbesiano “Homo Homini Lupus”? Significa semplicemente che “L’uomo è un lupo, un predatore, per l’altro uomo”… un tantino pessimistico, no?): con il bonobo gli etologi avevano finalmente trovato la controparte buona, ed evolutivamente valida, degli aggressivi scimpanzé.

La società bonobo, infatti, possiede caratteristiche che la rendono una sorta di concretizzazione di tutto ciò che l’uomo desidererebbe per sé stesso, senza particolari ritorsioni negative: una società fondamentalmente matriarcale, sessualmente libertina, completamente altruistica, amichevole, giocosa, priva di ogni tipo di violenza, etc..
Giusto un esempio: quando due bonobo litigano (senza giungere mai alla violenza) succede che si allontanano uno dall’altro o che si guardano digrignando i denti e facendo dei versi.. che succede a questo punto? Semplicemente arriva la matriarca del gruppo (che è solitamente la più anziana e la più ambita sessualmente da tutti i maschi del gruppo, sia giovani che maturi) e si accoppia con entrambi, in una piacevole “cosa-a-tre” che spazza via tutti i rancori residui. Se i due bonobo in questione si erano allontanati uno dall’altro la matriarca ne prende uno per mano e lo porta vicino all’altro per cimentarsi subito nel piacevole threesome catartico.

Ci sono centinaia di esempi di comportamenti bonobo che farebbero sgranare gli occhi a gran parte degli hippie d’altri tempi: accoppiamenti eterosessuali ed omosessuali ugualmente distribuiti, spinta dei piccoli ad avere rapporti sessuali con membri più anziani da parte della mamma e del papà, sesso di gruppo al quale partecipano anche i più piccoli e i più anziani.. e la lista potrebbe continuare.

Quello che Frans De Waal sostiene nei suoi libri è semplicemente che gli scimpanzé siano solo la testimonianza storico-evolutiva del nostro lato oscuro, mentre i bonobo costituiscano la controparte del nostro lato buono!
[vedi La scimmia che siamo]

E’ evidente che questo modo di vedere la cosa ha profonde implicazioni etico-politiche sulla percezione delle nostre attuali istituzioni e dei nostri tabù: l’homo sapiens ha seguito un’evoluzione culturale che lo ha portato ad assomigliare maggiormente all’aggressivo e calcolatore scimpanzé, piuttosto che al docile e ridente bonobo.. e se avessimo preso un’altra strada? In che tipo di società vivremmo oggi e quali sarebbero i tabù?

A onor del vero, va sottolineato il fatto che la maggior parte dei bonobo osservati da De Waal nei suoi lunghi studi sono esemplari in cattività, nati e cresciuti nel centro di ricerca dello zoo di San Diego (California) mentre nella situazione più precaria che essi vivono nel loro habitat naturale tali comportamenti sono da ridimensionare: sia perché la densità molto minore fa sì che non ci siano incontri così frequenti, sia perché il cibo semplicemente non “casca dal cielo” ma bisogna andare a cercarselo.
[Ultimo appunto: perché c’è stato bisogno di santuari per il ripopolamento dei bonobo? Perché appena i riflettori dei media si accesero sulla loro specie ci sono state veri e propri massacri mirati a far letteralmente scomparire questa specie dai costumi così libertini e così lontano dalla grazia di Dio..]
[qui un lungo articolo critico sull’attenzione dedicata dai media ai bonobo, secondo me eccessivamente critico (ricordiamo che non lo scrive un etologo o un primatologo, ma un giornalista)].

Mi sono lasciato alcuni ultimi esempi che confermino la bontà del bonobo anche immerso nel suo habitat naturale: immaginatevi la scena.. torna al suo albero un maschio di bonobo con tanta frutta e che succede? arriva subito la compagna a fare le porzioni: prima mangiano i vecchi e i cuccioli, poi mangiano le femmine, e poi i maschi.. ah! prima della ripartizione, per placare la normale eccitazione dovuta alla vista del cibo, i bonobo sono soliti cimentarsi in una genuina orgia di gruppo, proprio accanto al cibo che consumeranno dopo, in pace e armonia.

ps: il titolo dell’articolo richiama l’ultima traccia dell’album di Caparezza Le dimensioni del mio caos.

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