The Walking Dead… il cammino della serie

LEGANERD 035212

(attenzione: se non avete visto la serie o letto il fumetto, non leggete l’articolo. Anche se ho tenuto al minimo il tenore degli spoiler, potrebbe comunque rivelarvi qualcosa di troppo…)

The walking dead è terminato. Finita la prima stagione di sei episodi, si può dunque tracciare un bilancio di quella che a tutti gli effetti è stata la serie-evento di questa fine del 2010.

Baciata dal successo di pubblico e critica (già confermata la seconda stagione da 13 episodi), TWD sta creando molte reazioni nel panorama nerd-telefilm-fans per la sua struttura e la sua (non)aderenza al materiale originale, il fumetto (orgogliosamente fumetto seriale a cadenza mensile, non graphic-novel) scritto da Robert Kirkman.

[spoiler]Inevitabile, nel passaggio al media televisivo, il pagamento del dazio dell’asservimento alla strutture logiche e alle maglie piuttosto strette del serial. In più, il deus ex machina dell’operazione è nientemeno che Frank Darabont, buon regista che ha cavato fuori opere molto interessanti da Stephen King. Ciò ha assicurato alla serie un trattamento “da cinema” ma ha anche comportato molti cambiamenti che hanno “allungato” il denso brodo della pagina cartacea, sempre molto chiara e diretta, asciutta nella sua esposizione dei fatti.

Dopo un gran esordio d’atmosfera, una seconda puntata con più azione e strizzatine d’occhio (qualcuno ha detto Shaun of the dead?) e una terza interlocutoria di approfondimento dei caratteri, le restanti tre hanno forse lasciato con qualche punto interrogativo di troppo gli spettatori più esigenti, che al giorno d’oggi mica sono pochi… perché rallentare così tanto il ritmo? Perché dilatare tempi e perdere di vista alcuni spunti lanciati lì nello script televisivo? Chiaramente tutti i nodi verranno al pettine nella prossima stagione, ma durante la seconda parte della prima si ha la sensazione che gli autori (tra l’altro sostituiti in blocco: resta da capire perché) si siano arenati nella spiaggia creata da loro stessi. Niente da dire sugli intenti ben dichiarati fin dall’inizio: più spazio ai personaggi e alle loro interiorità (quando non interiora!), lasciando gli zombi a fare da sfondo e da motore alle azioni più “drastiche”, senza sottrarsi ad un sano gore.

Allora perché si rimane con un po’ di amaro in bocca? Forse perché manca il coraggio di spingere fino in fondo il pedale sull’acceleratore quando sarebbe il caso… su rapporti tra protagonisti, su alcune svolte di sceneggiatura, sulla possibilità di densità narrativa che i sei episodi offrivano: invece si è scelto per una “rarefazione” dei fatti e del racconto. E’ una scelta, certo.

Sembra quasi che questa prima stagione sia stata un mega-pilot in vista di ciò che deve venire… non fraintendetemi, eventi importanti ci sono stati, qualche evoluzione nei caratteri pure, ma quel “ritorno” allo status quo dell’ultimo episodio può suonare anche da tabula rasa dalla quale ripartire quasi da zero.

E adesso qualche riflessione sul fumetto. Robert Kirkman è un signor narratore. Dal 2003, ogni mese ha tirato fuori trame e dialoghi da vero sceneggiatore con le palle, con l’inevitabile “cliffhanger” alla fine di ogni numero (ad oggi sono 78), senza mai risultare gratuito o pretestuoso. Salvo forse un paio di casi, ma questa è una valutazione strettamente personale e non inficia il valore di un’opera davvero chirurgica nel suo sviluppo narrativo. Chirurgica, dicevo: sì, perché il vero valore del TWD cartaceo è la sua profonda sapienza nello sviluppo caratteriale e mentale dei protagonisti, in particolare dello strepitoso Rick Grimes: un uomo tornato dal coma per sopravvivere a cadaveri tornati in vita. Un uomo che cerca la su famiglia, la ritrova, la difende con i denti, deve suo malgrado ricoprire lo scomodo ruolo di leader di un gruppo eterogeneo e complesso di persone… persone e non personaggi, perché hanno tutte psicologie descritte nei minimi dettagli. Ma non aspettatevi la pappa pronta, emergeranno con precisione nel corso della lunga lotta per la sopravvivenza. A volte anche in modi inaspettati. Lo sa bene Rick, che farà un percorso di consapevolezza atroce, dove arriverà a compiere e giustificare atti che all’inizio non avrebbe neppure osato immaginare, prendere decisioni e poi tornarci sopra per convenienza, costantemente sul filo del crollo nervoso e umano, e sempre più “selvaggio” nel difendere ciò che gli resta.

Ecco quello che sentiamo manchi alla controparte televisiva. Un approccio “di pancia”, crudo, più spietato. Siamo in mondo post Apocalisse. Dove homo homini lupus. Dove chiunque, nella disperazione, può fare di tutto.
Ecco, sarà capace il telefilm di liberarsi dal manicheismo dei “buoni troppo buoni, cattivi troppo cattivi, coglioni troppo coglioni” per addentrarsi nella zona grigia della sopravvivenza a tutti i costi?

Lo scopriremo solo tra undici mesi…[/spoiler]

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