La fotografia stenopeica

Il nero catramoso accanto a bagliori accecanti, il tono basso, una specie di tunnel visivo dato dalla caduta della luce verso i bordi dell’immagine, i soggetti criptici e quelli che fanno pensare alla morte, l’incertezza della visione, conferiscono una patina misteriosa a queste icone segnate da qualità oniriche e magiche, riconducibili ad un fitto dialogo con gli archetipi della nostra memoria individuale o collettiva.

Un apparecchio fotografico stenopeico, dal greco “stenos opaios” (piccolo foro), è lo strumento più elementare per produrre immagini: una scatola vuota e nera, un forellino di qualche decimo di millimetro su una parete e un foglio fotosensibile su quella opposta.

Il principio di formazione dell’immagine, proiettata su uno schermo attraverso il foro, è noto da millenni.
Già Aristotele accennò al foro stenopeico ed i sapienti arabi lo utilizzarono in astronomia per osservare l’eclissi solare.
Al Kindi, scienziato arabo vissuto nel IX secolo, scrisse un importantissimo trattato al riguardo, nel quale si possono leggere precisi riferimenti alle regole matematiche che influenzano il corretto funzionamento della “camera obscura”.

La più chiara e dettagliata descrizione di una camera obscura è contenuta nel “Codice Atlantico” di Leonardo da Vinci, dove per la prima volta fu presentata una correlazione tra l’occhio umano e la camera obscura.
Un successivo testo, che riporta dati sull’uso della camera oscura, fu il “Magiae Naturalis: sive de Miraculis rerum naturalium” di Giovan Battista Della Porta, anche se egli non utilizzò mai un simile strumento.
Il Della Porta suggeriva, come già avevano fatto altri in precedenza, di ampliare le dimensioni del foro e di applicarvi una lente; questo fu essenziale nella costruzione di camere portatili ad uso dei disegnatori del tempo.
Dal 1600, infatti, la camera obscura diviene strumento indispensabile per disegnatori e pittori , che conoscevano perfettamente il funzionamento dell’obiettivo, il corretto modo di messa a fuoco, il rapporto tra diaframmatura e definizione dell’immagine.

Già allora molte camere obscure erano dotate di uno specchio a 45° che rinviava l’immagine formatasi, tramite il foro ormai munito di lente, contro la parete superiore della scatola: in breve, la nostra Reflex!
L’immagine fotochimica, come noi la conosciamo, nacque molto dopo (ufficialmente nel 1839), ma contrariamente a quanto si può pensare l’uso del foro stenopeico, in fotografia, iniziò solo dal 1850; causa anche le non indifferenti limitazioni tecniche dovute alla scarsa rapidità dei materiali fotosensibili.

Sembra assurdo a circa 170 anni dalla nascita della fotografia, dopo l’incredibile evoluzione tecnica che questa arte ha avuto, parlare ancora di fotografia stenopeica; eppure un esiguo gruppo di cultori è presente ed attivo.
Oggi, quando tecnica e tecnicismo hanno invaso ogni spazio e il concetto di rapidità si è espanso all’infinito, arrivando sfortunatamente ad essere un’arte alla mercè di ogni adolescente egocentrico, il ritorno all’uso di fotocamere stenopeiche, lente e totalmente artigianali, appare come una rivincita dell’uomo sul mezzo, un ri-avvicinarsi alla semplicità, un segno di fedeltà alla fotografia.

Lavorare con una fotocamera a foro stenopeico, ha i suoi pregi, affascinanti, ma anche i suoi non indifferenti difetti:

– Si utilizzano tempi di esposizione incredibilmente lunghi anche con pellicole molto sensibili, che spesso incorrono nell’errore di reciprocità allungandosi ulteriormente.
– E’ praticamente impossibile fotografare a mano libera anche in pieno sole.
– Si ottiene un’immagine non perfettamente nitida. Il difetto è poco percepibile nelle stampe a contatto ma assai marcato ingrandendo il fotogramma (“Difetto” che però è la caratteristica di questo genere di fotografia).
– E’ assai indaginoso inquadrare il soggetto da fotografare in particolare usando focali medio-lunghe, problema non da poco anche se la fotocamera non richiede alcun controllo della messa a fuoco.

Ma quali sono dunque i concreti vantaggi offerti dal foro stenopeico?

– Nonostante la non perfetta nitidezza l’immagine risulta sempre leggibile, da zero a infinito.
– Non è assolutamente necessario che la pellicola sia planare tantomeno parallela al piano dell’ottica.
– Il foro, a parità di focale, copre formati di pellicola di maggior dimensione; cosa che permette la costruzione di super grandangolari per fotocamere che utilizzano pellicole di grande/grandissimo formato.
Qualunque scatola o recipiente a tenuta di luce, anneribile all’interno, può essere trasformato in una fotocamera a foro stenopeico.
– Il costo di un tale sistema ottico è irrilevante per qualunque formato di pellicola usato.

Costruire una fotocamera:
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L’attenzione maggiore si deve porre nella realizzazione del foro, che deve essere sottile e con diametro ridotto. Un metodo spesso utilizzato è quello di utilizzare un sottile foglio di alluminio simile a quello utilizzato nelle lattine, squadrato con lato di circa 3cm e reso sottile nella zona centrale attraverso l’azione della carta abrasiva. Riducendo lo spessore della lamina si diminuisce la vignettatura, a causa delle ombre prodotte dai bordi del foro.

Il foro si ottiene utilizzando la punta di un ago sottile nella zona precedentemente lavorata. Importante è verificare con una lente di ingrandimento o con un obiettivo invertito che il foro non presenti imperfezioni e sia il più possibile rotondo. Quindi si dipinge di nero il lato interno della lamina.

Un metodo per calcolare la dimensione ottimale del foro, ipotizzato per la prima volta da Jozef Petzval e migliorato da Lord Rayleigh, si basa sulla formula seguente:

d=1,9\sqrt{fλ}
Dove d è il diametro, f è la lunghezza focale (la distanza tra il foro e la pellicola) e λ è la lunghezza d’onda media della luce. La luce visibile è una porzione dello spettro elettromagnetico compresa approssimativamente tra i 400 e i 700 nanometri (nm) (nell’aria). Mediamente è pari a 550nm e corrispondente al colore giallo-verde. Per una fotocamera 35mm la dimensione migliore è compresa tra 0,2mm e 0,3mm.

La lamina d’alluminio con il foro stenopeico può essere incollata al centro di un tappo precedentemente forato per l’utilizzo su una fotocamera commerciale. In alternativa, è possibile costruire una fotocamera adatta allo scopo in modo artigianale. In quest’ultimo caso, è sufficiente utilizzare una scatola di cartone e incollare la lamina su un lato e la pellicola nel lato opposto. La distanza tra il foro e la pellicola (lunghezza focale) può essere resa variabile facendo scorrere le pareti della scatola. Spostando la pellicola vicino al foro aumenterà l’angolo di campo e la luminosità, allontanando la pellicola si dovrà incrementare l’esposizione e l’angolo di campo sarà più stretto.
La luminosità della fotocamera è calcolata dividendo la lunghezza focale per il diametro del foro. Per esempio, avendo un diametro di 0.5mm e una lunghezza focale di 50mm, la luminosità corrisponde a f/100. Durante l’esposizione, che con questi valori di luminosità può durare diversi secondi, è importante calcolare anche il difetto di reciprocità specifico per la pellicola utilizzata.

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Il concetto di pinhole è utilizzato anche per la protezione dai raggi ultravioletti.

Qui un semplice tutorial per costruire la vostra macchina stenopeica! (Vi vizio, lo so…) e qui un progetto italiano molto interessante.
Gallery tratta dal Pinhole Day 2010

By Laido e Zia Follia! :)

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